Cristoforo Colombo* (1996) - La scoperta dell'America non è stata casuale ma frutto della fede Cattolica
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜http://www.filmgarantiti.it/it/articoli.php?id=290 LA SCOPERTA DELL'AMERICA NON E' STATA CASUALE, MA FRUTTO DELLA FEDE CATTOLICA L'arrivo nell'isola di Guanahaní - poi San Salvador - della piccola flotta capitanata dal genovese...
show moreLA SCOPERTA DELL'AMERICA NON E' STATA CASUALE, MA FRUTTO DELLA FEDE CATTOLICA
L'arrivo nell'isola di Guanahaní - poi San Salvador - della piccola flotta capitanata dal genovese Cristoforo Colombo (1451 ca. -1506), il 12 ottobre 1492, segna l'inizio della scoperta, della conquista e dell'evangelizzazione delle Americhe. Non si tratta, dunque, di un semplice rinvenimento - come nel caso del probabile arrivo di un gruppo di vichinghi nell'America Settentrionale verso la fine del secolo X, che non ebbe alcuna conseguenza per il continente -, ma di un atto che pone le premesse di un'integrazione razziale, culturale e spirituale unica nella storia.
L'impresa di Colombo s'inserisce nel quadro dell'espansione europea dei secoli XIII-XVI, che vede protagonisti soprattutto portoghesi e spagnoli, i quali solcano con entusiasmo mari sconosciuti e affrontano i pericoli dei viaggi verso l'ignoto, animati anzitutto dal desiderio di ampliare le frontiere della Cristianità. Nell'ammiraglio genovese e in coloro che lo seguono non sono da trascurare le motivazioni economiche e la ricerca di orizzonti più ampi, anche in relazione al serrarsi del Mediterraneo Orientale per l'avanzata dei turchi ottomani, ma un peso notevole hanno pure le aspirazioni religiose, cioè il desiderio di convertire gli indigeni e di reperire fondi per la riconquista di Gerusalemme. Se il progetto crociato del grande navigatore non viene realizzato, non si può dimenticare che l'oro del Nuovo Mondo servirà a finanziare la resistenza contro i turchi.
La spedizione guidata da Colombo segue immediatamente il compimento della Reconquista, cioè del processo di liberazione della penisola iberica dai musulmani, iniziato nel secolo VIII e concluso con la presa di Granada, il 2 gennaio 1492. L'entusiasmo per la vittoria spiega anche perché i Re Cattolici, Isabella di Castiglia (1451-1504) e Ferdinando d'Aragona (1452-1516), consapevoli della grande missione della Spagna - difendere e diffondere il messaggio cristiano in Europa e nel mondo - accogliessero il progetto, apparentemente irrealizzabile, del navigatore genovese: andare dalla Spagna alle Indie "passando il Mare Oceano a Ponente".
VINTI I MORI, RICONQUISTATA LA SPAGNA, SI PASSA ALL'EVANGELIZZAZIONE DI NUOVI MONDI
A partire dal secondo viaggio di Colombo - realizzato fra il 1493 e il 1496 - la visione idilliaca delle Indie, che aveva caratterizzato fino ad allora le relazioni degli scopritori, viene meno tragicamente con l'uccisione di tutti i compagni dell'ammiraglio da parte degli indios. Ha inizio la conquista, il cui fine principale è sempre l'evangelizzazione, che prevale su altri fini del tutto leciti, come l'onore e la grandezza della Spagna, nonché la ricerca di ricchezze e di profitti materiali. L'ideale missionario, applicato alle nuove terre, costituisce l'humus dal quale scaturisce un tipo umano forse irripetibile, quello dei conquistadores. Figli di una terra dove si era appena conclusa la crociata contro i mori, ma in cui sopravviveva lo spirito che l'aveva ispirata, molti di essi attraversano l'oceano animati da un sogno di conquista e di gloria, fondato sulla volontà di ampliare i confini della fede cristiana e i domìni della Corona spagnola.
La conquista, soprattutto nella fase iniziale, è una sorpresa per tutti, risultando come la conseguenza non di un piano preciso, ma di una serie di reazioni di fronte a situazioni impreviste o d'iniziative di pochi audaci, come quella di Hernán Cortés (1485-1547) nei territori dell'attuale Messico. Inoltre, solo per le comunità del Centroamerica e dell'America andina si può parlare di vera e propria conquista, perché i nuovi arrivati non si misurano con organizzazioni primitive, ma con autentici Stati, caratterizzati peraltro da inspiegabili assenze sul piano economico e tecnologico - la ruota, l'allevamento, la lavorazione del ferro, l'arco e la volta nelle costruzioni - o da presenze sinistre, come il cannibalismo, i sacrifici umani, la schiavitù. Questi elementi spiegano sia l'intransigenza e il furore dei conquistadores - che inorridiscono di fronte a oscure idolatrie, nei cui templi scorreva sempre sangue -, sia la facilità della conquista. Infatti, i regni e gli imperi indigeni, costruiti a prezzo di guerre sanguinosissime e fondati sulla tirannia e sulla crudeltà, portavano in sé i germi della propria distruzione: l'inaridimento culturale e l'instabilità politica, a causa della turbolenza dei popoli sottomessi, la cui presenza a fianco degli spagnoli capovolge le sorti della guerra e la trasforma in una carneficina.
Una diffusa letteratura antispagnola e anticattolica - nata nel Cinquecento in ambienti protestanti e alimentata ancor oggi da movimenti indianisti ed ecologisti, gruppi neomarxisti e terzomondisti, nonché frange cattoliche progressiste - continua a presentare la conquista come un "genocidio", ma la storiografia ha mostrato la falsità di questa leggenda nera. "Usciti troppo bruscamente dal loro isolamento - scrive lo storico francese e calvinista Pierre Chaunu -, gli Indiani d'America non soccombettero sotto i colpi delle spade in acciaio di Toledo, ma sotto lo choc microbico e virale". La catastrofe demografica dei popoli amerindi ha la sua causa nelle grandi epidemie, provocate dal contatto fra due realtà biologiche estranee, e non in una presunta politica razzista e di sterminio messa in opera dagli spagnoli, i quali, invece, avevano tutto l'interesse a garantire la sopravvivenza dei nativi e favoriscono la fusione fra vincitori e vinti. Significativamente l'Iberoamerica è la sola delle Americhe dove, ancor oggi, la razza indiana e i suoi meticci costituiscono la grande maggioranza della popolazione, dimostrando fra l'altro, grazie all'irrisorietà dell'insediamento di neri africani, che la Spagna ricorse in modo molto limitato all'importazione di schiavi nel Nuovo Mondo. Anche le denunce del domenicano Bartolomé de Las Casas (1474-1566) - subito confutate dal missionario francescano Toribio da Benavente (1490 ca.-1569) - si sono rivelate eccessive e inaffidabili, così da non poter essere utilizzate come fonti storiche esclusive e attendibili.
In realtà, nella conquista non colpiscono tanto gli abusi e gli errori iniziali - caratteristici di tutte le vicende umane - quanto la grande capacità di autocritica, unica nella storia della colonizzazione mondiale, che era la conseguenza di una profonda coscienza cristiana. Di fronte alle deviazioni la voce della Chiesa si leva dal primo momento attraverso la denuncia da parte dei missionari, le elaborazioni dottrinali dei teologi e dei giuristi, la sollecitudine dei sovrani spagnoli, che prendono numerosi provvedimenti in difesa degli indios, anzitutto le leggi di Burgos, promulgate dall'imperatore Carlo V d'Asburgo (1500-1558) nel 1519, due anni prima delle denunce di padre Las Casas. In particolare, la testimonianza della Scuola di Salamanca e le celebri relazioni sugli indios, del domenicano Francisco de Vitoria (1483-1546), rappresentano un encomiabile sforzo di porre i fondamenti teologici e filosofici di una colonizzazione secondo princìpi ispirati all'etica cristiana.
LA REGINA ISABELLA SPERA DI CONDURRE ALTRI POPOLI ALLA VERA FEDE
Al momento di finanziare l'impresa di Colombo la regina Isabella spera di condurre altri popoli alla vera fede e non bada né a spese né a difficoltà per onorare gli impegni assunti con Papa Alessandro VI (1492-1503), il famoso Papa Borgia, che aveva concesso ai sovrani il diritto di patronato sulle nuove terre in cambio di precisi doveri di evangelizzazione. Ne consegue uno spiegamento missionario senza precedenti, che dà presto una nuova configurazione alla realtà ecclesiale universale, proprio nel momento in cui le convulsioni religiose in Europa provocavano gravi divisioni nella Cristianità, e che costituisce, secondo le parole di Papa Giovanni Paolo II, "una delle pagine più belle di tutta la storia dell'evangelizzazione portata a compimento dalla Chiesa".
Protagonisti di questa epopea sono innanzitutto i missionari - altamente selezionati e dotati di grande libertà d'iniziativa di fronte alle autorità civili -, quindi la Corona spagnola, cioè i sovrani e gli organi di governo, fra cui il Consiglio delle Indie, infine tutti gli spagnoli giunti nel continente - conquistadores e coloni -, i quali, nonostante i limiti del loro operato, erano consapevoli di aprire la strada alla diffusione del messaggio di Cristo.
L'azione evangelizzatrice opera in tre direzioni convergenti: l'irradiazione della fede e della cultura cristiana, il salvataggio delle lingue e delle tradizioni del continente americano, la civilizzazione delle popolazioni locali. Sotto il primo aspetto i missionari fanno fruttificare i semi di religiosità presenti nelle credenze dei popoli indigeni attraverso l'elaborazione di nuovi metodi di catechesi, la creazione di parrocchie di indios, dove costoro venivano istruiti nella verità della fede cristiana e ricevevano i sacramenti, e la preparazione di catechismi bilingui o pittografici.
Di fronte al lento progresso dell'evangelizzazione dei primi anni, rivolta a popoli idolatri e lontani culturalmente dalla mentalità europea, i missionari comprendono che è necessario conoscere a fondo la mentalità e la cultura indigena per presentare il Vangelo nel modo più adeguato. Con un lavoro di autentica premessa all'inculturazione essi studiano le istituzioni, gli usi e i costumi degli indios, raccolgono con amore le testimonianze culturali amerinde più antiche, dando inizio alla modern
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