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Musica e musicisti nei lager nazisti. Con Moni Ovadia e Roberto Franchini.
Pur con la testa rasata e un numero sul braccio, ero una violoncellista
Pur con la testa rasata e un numero sul braccio, ero una violoncellista
Assemblea legislativa ER
26 JAN 2023 · “Pur con la testa rasata e un numero sul braccio ero una violoncellista”. Lo scrisse Anita Lasker-Wallfisch, reduce dal campo di sterminino di Auschwitz nel suo libro. La musica non le aveva fatto perdere la sua identità. Al contrario, l’aveva aiutata a salvarsi. Non per tutti fu così.“La musica nei campi di concentramento scandiva i tempi di vita e di lavoro dei prigionieri e delle guardie. L’orchestrina era insieme testimone e vittima”. Lo racconta Moni Ovadia nel podcast insieme a Roberto Franchini, autore del libro “L’ultima nota”.
Quando i campi dei nazisti erano riservati solo agli oppositori politici, la musica era nascosta. Più avanti furono gli stessi direttori dei campi a permetterla, addirittura a sceglierla – ogni campo aveva la sua “colonna sonora”- e a diffonderla dagli altoparlanti per gli appelli, le partenze, i ritorni e per le esecuzioni capitali. Dai Ghetto Swingers e dal jazz del campo di Terezin, ai cabaret con Kurt Gerron de “L’angelo azzurro”, dall’orchestra femminile di Auschwitz, Alma Rosé, alla Canzone dei soldati della palude, che divenne poi simbolo dei canti di resistenza: all’interno del podcast è possibile ascoltare le musiche e le storie che le accompagnavano, raccontate da Franchini.
Musica e musicisti nei lager nazisti. Con Moni Ovadia e Roberto Franchini.
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