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L'etica ci aiuta a comprendere la distinzione tra bene e male in modo da fare buon uso della libertà
Morale - BastaBugie.it
Morale - BastaBugie.it
10 SEP 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7905
L'IMPORTANZA DELLA LOTTA CONTRO LA TIEPIDEZZA di Veronica Rasponi
La tiepidezza è una malattia spirituale che indebolisce le forze dell'anima e apre la strada al peccato. Nostro Signore la denuncia con queste parole: «Conosco le opere tue e che non sei né freddo né caldo, Sarebbe meglio che tu fossi o freddo o caldo, Ora perché sei tiepido, né freddo né caldo, comincerò a vomitarti dalla mia bocca» (Apoc., 3, 15-16). Alla tiepidezza si oppone il fervore che apre a sua volta la strada alla perfezione cristiana.
Tra gli autori spirituali che più combatterono la tiepidezza fu sant'Antonio Maria Zaccaria, uno dei grandi esponenti della Riforma cattolica del XVI secolo, nato a Cremona nel 1502 e morto a soli 36 anni a Guastalla nel 1539. Cappellano della contessa Ludovica Torelli (1500-1569), attorno al 1530 fondò a Milano un sodalizio spirituale che comprendeva al suo interno tre Collegi, uno di sacerdoti (i Chierici regolari di San Paolo, noti come Barnabiti, perché presero dimora definitiva presso la chiesa di San Barnaba), uno di religiose (le Angeliche di San Paolo) e uno di laici (i Coniugati o Maritati di San Paolo).
Esce ora una nuova edizione commentata de Gli scritti di sant'Antonio Maria, a cura dei padri Antonio Gentili e Giovanni Scalese (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2024, pp. 1148, euro 60). L'opera, suddivisa in paragrafi e versetti, e accompagnata da abbondanti note esplicative e da utili Excursus, è di lettura impegnativa, ma ci fa conoscere più profondamente la fisionomia spirituale di questo grande santo, che affidò ai suoi figli spirituali la missione di distruggere la «maggior nemica di Cristo crocifisso», «la tiepidezza» e «annunciare la vivezza spirituale e lo spirito vivo dappertutto».
Le pagine più interessanti sono proprio quelle dedicate alla «tiepidezza» (in particolare pp. 1004-1011). Ecco alcuni degli Aforismi del fondatore dei Barnabiti: «La tiepidezza è un'eresia diffusa in tutto il mondo, non perseguitata dagli inquisitori, ma abbracciata dal demonio»; «La tiepidezza è un accecamento della mente. Perciò il tiepido è sempre distratto con la mente e privo dell'attenzione interiore»; «Il tiepido, apparentemente, sembrerebbe aver cura del culto divino, ma solo quanto alle cerimonie esteriori e in modo ripetitivo»; «La tiepidezza incomincia nella disattenzione, prosegue nell'oscurità della mente, finisce nell'accecamento dell'intelletto»; «La madre della tiepidezza è l'ingratitudine per i benefici divini; le sue compagne sono la sensualità, la curiosità e le distrazioni; la (sua) nutrice è la confidenza nella bontà divina, basata su qualche opera buona e sulla convinzione che sia sufficiente evitare i peccati gravi, come se la tiepidezza non fosse un peccato grave»; «Se non ti risollevi subito dalla tiepidezza, proverai maggiore fatica a tornare al primo fervore; perché la tiepidezza, più di tutte le infermità spirituali, è molto lontana dalla guarigione»; «Se tu hai promesso a Dio di volere sempre progredire e fuggire la tiepidezza, non tardare a metterlo in pratica: perché come dice il Sapiente, dispiace a Dio la promessa stolta e infedele».
Una delle cause profonde della crisi religiosa contemporanea è che, come già accadde nel XVI secolo, al fervore di chi serve il male non si contrappone il fervore, ma la tiepidezza, di chi dice di voler servire il bene. Le parole di sant'Antonio Maria, ci giungono dunque di sprone, in un momento in cui la Chiesa ha bisogno, come allora, di una profonda riforma interna. Zaccaria, sottolineano giustamente gli autori di questo importante volume, «non fu l'uomo della rottura, ma della continuità: un riformatore che voleva rinnovare la Chiesa traendo l'ispirazione e la spinta dalla tradizione della Chiesa stessa, e non un rivoluzionario, come gli umanisti e i "riformatori" che, avendo la pretesa di ritornare alle origini, di fatto interruppero quella tradizione e sovvertirono la vera natura della Chiesa».
10 SEP 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7899
COSA PUO' INSEGNARCI UN OROLOGIO TROVATO NEL DESERTO?
Una storiella edificante ci spiega che se ci meravigliamo studiando il meccanismo di un orologio e siamo certi dell'esistenza del suo artefice anche se non lo vediamo, ne consegue che...
di Padre Gnarocas
Tre arabi viaggiavano nel deserto sconfinato, sotto i raggi ardenti del sole, quand'ecco sull'arida sabbia essi scorgono qualche cosa che riluce vivamente.
Si fermano osservando attentamente, ed oh! Meraviglia, un bellissimo orologio d'oro!
Uno di essi si china e lo raccoglie e lo mostra ai compagni. Nessuno dei tre aveva mai visto un orologio; sicché, meravigliatissimi, non sapevano che cosa pensare su quel meraviglioso oggetto. L'osservarono a lungo con grande curiosità, li girarono per ogni verso, e, quando udirono il tic-tic del movimento interno e si accorsero che le sfere si muovevano, ebbero una gran voglia di vedere che cosa vi fosse all'interno di quella meravigliosa scatolina.
Dopo aver frugato per un bel pezzo, finalmente riuscirono ad aprirlo. Al vedere quell'insieme di rotelline, di spirali, di pezzetti di metallo disposti con tanto ordine e precisione fecero mille esclamazioni di meraviglia.
Come mai un oggetto costruito con tanta precisione si trova qui, abbandonato sull'arida sabbia del deserto?
- Certamente qualche viaggiatore, che ha attraversato il deserto prima di noi, ha perduto questo tesoro.
- Ma non potrebbe essere sta to prodotto dalla sabbia del deserto?
- No, no, impossibile, impossibilissimo; un meccanismo cosi perfetto non può essere prodotto alla sabbia arida e inerte, questo oggetto è stato fabbricato da una persona molto intelligente.
- Ma noi non abbiamo visto il bravo artista che ha fabbricato questo meccanismo, e che ha messo insieme queste rotelline.
- E che importa se non l'abbiamo visto noi? L'artista sarà in paesi lontani, lontanissimi, ma certamente egli deve esistere.
E i tre arabi continuarono il loro viaggio, portando con sé il piccolo tesoro, che avevano trovato. E più osservavano quell'orologio e più si persuadevano che doveva essere opera di una persona molto intelligente.
Infine uno di essi esclamò: "Varrebbe la pena fare un lungo viaggio per andare in traccia di colui, che ha fabbricato questo oggetto, per rendere a sì grande artista l'onore che merita".
Quei tre arabi ragionavano molto rettamente; ma se noi, in una notte serena, solleviamo gli occhi verso il cielo stellato, dobbiamo restare colpiti da meraviglia infinitamente più grande di quella che ebbero i tre arabi nel trovare l'orologio.
Miliardi e miliardi di astri formano nello spazio infinito mille volte più perfetto di quello di un orologio; e noi, contemplando questo meccanismo celeste, dobbiamo concludere, con più ragione dei tre arabi: "Certamente questo meraviglioso meccanismo è stato creato da un Essere sapientissimo. Certamente questo Essere sapientissimo deve esistere, e anche se non l'avesse visto mai nessuno, sarebbe ugualmente certa la sua esistenza. Vale ben la pena di fare lunghi studi per cercare, per conoscere, questo Essere supremo per rendergli l'onore che merita".
3 SEP 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7907
FRENARE LA PROPRIA LINGUA E' LA COSA PIU' DIFFICILE
Come il morso orienta il cavallo dove vuole il padrone, così la lingua può orientare l'uomo alla virtù o a soddisfare le passioni a seconda se è tenuta a freno oppure no
di Don Dolindo Ruotolo
"Perché tutti quanti inciampiamo in molte cose: Se uno non inciampa con la parola, questi è un uomo perfetto, capace di tenere a freno tutto il corpo. Ecco: Noi mettiamo il morso in bocca ai cavalli per renderceli obbedienti, e possiamo condurre dove ci pare tutto il loro corpo" (Gc 3, 2-3).
Se si riflette, infatti, e se facciamo appello alla nostra medesima esperienza, la cosa più difficile a dominarsi è proprio la lingua.
Nelle discussioni o nelle contese noi sentiamo un impeto irresistibile a rispondere, a ribattere appena ci sorge nell’anima un pensiero; impeto tanto irresistibile, che noi ci sentiamo intimamente contenti e soddisfatti di aver parlato, di aver risposto, di aver rimbeccato, e tanto soddisfatti da sentire il bisogno di dirlo agli altri, esclamando anche al primo che capita: "Ben fatto, gliel’ho detto; io... crepavo se non glielo dicevo; io sono Franco, non ho peli sulla lingua, e quello che sento dentro debbo metterlo fuori" e simili vivaci e taglienti espressioni che manifestano di quale forza è l’impeto della lingua, e come il saperlo frenare è segno di perfezione interiore e di completo dominio delle nostre passioni.
Tutte le passioni, infatti, trovano nella parola la loro espressione e il loro incentivo.
La superbia e la vanagloria suggeriscono alla parola la propria lode; l’invidia spinge alla maldicenza e alla calunnia; l’avidità del guadagno spinge alla menzogna e alla frode; l’ira all’ingiuria e alla bestemmia; l’ozio al pettegolezzo, alla chiacchiera frivola, ai giudizi avventati e infine la lussuria vi trova la causa del suo risveglio e il suo sfogo scandaloso con i discorsi impuri, le parole a doppio senso o la rievocazione di peccati commessi o di avventure "galanti".
Perciò il Siracide si domanda: "Chi non inciampa nel conversare?" (Sir 19,16). E Gesù Cristo dice: "Dall’abbondanza del cuore parla la lingua" (Mt 12,34). E ancora, considerando la lingua come espressione dei peccati dei quali si deve rendere conto a Dio nel giudizio, proclama solennemente: "In verità vi dico che di ogni parola oziosa che l’uomo avrà proferita, renderà conto nel giorno del giudizio" (Mt 12,36). E ancora: "Ciò che esce dalla bocca renderà impuro l’uomo" (Mt 15,11).
San Giacomo per mostrare come è necessario dominare la lingua, perché per essa l’uomo esprime e fomenta le passioni, porta alcuni paragoni che fanno capire, come la lingua, per piccola che sia come muscolo, può determinare o esprimere l’indirizzo della vita, e dice: "Noi mettiamo il morso in bocca ai cavalli per renderceli obbedienti, e possiamo condurre dove ci pare tutto il loro corpo" (provvidenzialmente la dentatura del cavallo è adatta a portare il morso: essa, infatti, contiene sei incisivi nella parte superiori che sono adattissimi a strappare le erbe; i canini sono piccolissimi o addirittura mancano, e di conseguenza lasciano una zona semivuota o vuota tra gli incisivi e i molari, dove si adatta e può stare il morso; i molari sono larghi e grossi con ripiegature nello smalto, e perciò adatti a triturare l’erba; sono dodici sopra e sotto; il morso, tirato in un senso o in un altro, costringe il cavallo per il dolore o per il fastidio che gli procura lo strappo, a voltarsi secondo la direzione voluta da chi lo guida).
Così la lingua, adoperata per il male o per il bene, orienta l'uomo al male o al bene, come il morso orienta il cavallo con tutto il suo corpo, dove vuole il padrone.
27 AUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7900
BOXE: E' GIUSTO CHE UN UOMO PICCHI UNA DONNA? CHE DUE DONNE FACCIANO A BOTTE? E DUE UOMINI? di Fabio Fuiano
Lo scorso primo agosto si è disputato, in occasione delle Olimpiadi di Parigi, un incontro di pugilato tra Angela Carini e Imane Khelif che ha suscitato un acceso dibattito sulla disparità biologica tra i contendenti. Un dibattito che, purtroppo, è rimasto su un piano superficiale e opinabile, anche a causa di elementi di informazione insufficienti per poter prendere una posizione equilibrata. Con questo articolo si tralascerà volutamente la questione relativa all'identità sessuale di Imane Khelif, o la valutazione sull'opportunità che un tale personaggio possa essere adatto a partecipare ad un incontro di boxe in tale o tal altra categoria. Queste sono questioni particolari che, molto opportunamente, vanno lasciate alla scienza medica, perfettamente in grado, alla luce dei progressi della genetica, di stabilire il genotipo di qualsiasi essere umano. Lo sforzo da fare è quello di ricondurre l'intera vicenda a principi generali che, in quanto tali, non possono essere messi in discussione.
Anzitutto, è fondamentale ribadire l'esistenza di una natura umana, oggettiva e immutabile, con una conseguente legge morale naturale che ingiunge all'uomo di agire conformemente a tale natura se vuol conseguire il proprio fine ultimo. Secondariamente, bisogna domandarsi se, tra gli sport esistenti, la boxe sia o meno conforme alla natura umana e, particolarmente, a quella femminile. Ecco il nocciolo della questione: se la risposta a tali interrogativi è negativa, allora si possono tranquillamente tralasciare tutte le discussioni conseguenti.
LA DOTTRINA DELLA CHIESA
La Dottrina della Chiesa in merito al tema dello "sport" ha avuto il suo sviluppo con i pontificati di San Pio X e i successivi. In particolare, papa Sarto, pur rilevando gli aspetti positivi dello sport, rivolgeva ai partecipanti al Concorso Internazionale di Ginnastica del 27 settembre 1908 l'invito a «non passare i confini della prudenza, non esporsi a pericoli» recando danno alla propria salute.
Nel suo Discorso agli sportivi romani del 20 maggio 1945, Pio XII parlava positivamente di uno sport che «concorre ad elevare il valore spirituale dell'uomo e, quel ch'è più, lo orienta verso una nobile esaltazione della dignità, del vigore e della efficienza di una vita pienamente e fortemente cristiana». Al tempo stesso, il Papa ricordava come questa concezione cristiana fosse lontana da quel materialismo «per il quale il corpo è tutto l'uomo! Ma come è anche aliena da quella follia di orgoglio, che non si rattiene dal rovinare con uno strapazzo insano le forze e la salute dello sportivo, per conquistare la palma in una gara di pugilato o di velocità, e lo espone talvolta temerariamente anche alla morte! Lo "sport" degno di questo nome rende l'uomo coraggioso di fronte al pericolo presente, ma non lo autorizza a sfidare senza una ragione proporzionata un grave rischio; il che sarebbe moralmente illecito».
Per quel che attiene alla boxe, la Chiesa ha spesso espresso la sua condanna per due principali ragioni:
1) perché richiede, per poter essere svolta, un confronto violento con l'avversario, mettendone in pericolo l'incolumità, se non la vita stessa;
2) a causa del clima di eccitazione violenta che esso provoca tra gli spettatori, analogo ai giochi gladiatori già condannati da sant'Agostino.
Basti ricordare, a questo proposito, un articolo dell'Osservatore Romano del 15 febbraio 1933 in cui si descrive «quel popolo che invade, assiepa, riempie sino all'impossibile gli stadi [...] pronto a dirsi truffato se la rissa coi guantoni non ha spaccato sopracciglia, infranto nasi, slogato mascelle, rotto costole, pesto almeno un occhio, regalata una emorragia [...] quel popolo che s'erge dal suo posto allo stadio come su un piedistallo e si innalza a simbolo della civiltà odierna. La quale è fiera di premiare i "pugili" che con la forza, la violenza, la brutalità proiettate nello stadio, nella arena del mondo, ne esalta e diffonde la fama. Questa nostra civiltà! [...] Quella che ha tanto camminato in venti secoli da ritrovarsi seduta ancora nell'anfiteatro».
LA MORTE IN DIRETTA TELEVISIVA
Numerosi sono stati gli interventi di questa natura, soprattutto dopo le ingenti morti seguite alla diffusione di questa disciplina sportiva a partire dagli anni '60. "La Civiltà Cattolica", in una documentata analisi del problema, sotto il pontificato di Giovanni XXIII, affermava che «la maggior parte dei moralisti, confortata dal giudizio ancora più severo dei medici, non ha dubbi nel ritenere il pugilato professionistico, così come è attualmente, di fatto, esercitato, uno sport oggettivamente immorale» (Il pugilato professionistico e la morale, in "La Civiltà Cattolica", 1962, II, p. 160); «in verità - proseguiva l'organo ufficioso della Santa Sede - non c'è ancora su tale problema una dichiarazione ufficiale della Chiesa; ma occorre notare che, per giudicare della moralità di un fatto o di un problema, non si richiede sempre un intervento ufficiale della Chiesa; basta applicare ai casi concreti i principi generali della morale naturale, elevata e perfezionata dal cristianesimo» (ivi).
Dopo la morte in diretta televisiva, del pugile Davey Moore il 21 marzo 1963, in un incontro con Sugar Ramos, "L'Osservatore Romano" ribadiva a sua volta «il giudizio intrinseco sulla immoralità di uno sport che attenta all'integrità della persona fisica degli atleti gratuitamente e stoltamente e nella triste cornice della passionalità scatenata del pubblico». Nell'articolo si concludeva: «Non si dica che anche gli altri sport, auto, ciclismo, alpinismo, calcio, possono provocare tragedie e costare vittime. In quegli sport la disgrazia non può essere che accidentale e, del resto, anche per essi vale l'obbligo del limite ragionevole e della prudenza cristiana. Ma nel pugilato l'essenza è l'offesa fisica contro l'avversario. Fissare un punto limite o stabilire una sicurezza certa nell'impetuoso gioco, alla luce dell'esperienza sembra pura illusione. E la persona umana va salvaguardata, non distrutta. Va educata non abbruttita» (Ribalta dei fatti: Lo stadio o il circo? in "Osservatore Romano", 27 marzo 1963, p. 2).
IL PIANTO DELLA PUGILE ANGELA CARINI
Ma, a questo punto, se già per lottatori di sesso maschile si pongono remore morali, che pensare quando a combattere sul ring sono delle donne? È davvero conforme alla natura femminile? La Chiesa non avrebbe esitazioni: la natura della donna è fatta per ben altro. Il pianto prorompente della pugile Angela Carini a seguito dell'incontro è una palpabile testimonianza della cocente sconfitta, certo, ma anche dello sfogo inconsapevole dovuto all'innaturalità di questo sport per una donna.
In una riflessione, pubblicata su CR, dedicata alle donne c.d. "childfree", si sono riportati ampi stralci delle parole di papa Pio XII sulla naturale vocazione della donna alla maternità, alla sua spiccata sensibilità e delicatezza, che la rendono regina del focolare, atta a diffondervi gentilezza e dolcezza. L'antitesi della intrinseca violenza della boxe. Già il predecessore, Pio XI, metteva in guardia da una pretesa emancipazione femminile che mira ad assegnare alla donna i medesimi ruoli che ricopre l'uomo. Nella sua enciclica Casti Connubii, del 1930, il pontefice rilevava che in tal modo si mira alla corruzione dell'indole muliebre e della dignità materna, nonché alla perversione di tutta la famiglia. Anzi, «questa falsa libertà e innaturale eguaglianza con l'uomo tornano a danno della stessa donna; giacché se la donna scende dalla sede veramente regale, a cui, tra le domestiche pareti, fu dal Vangelo innalzata, presto ricadrà nella vecchia servitù (se non di apparenza, certo di fatto) e ridiventerà, come nel paganesimo, un mero strumento dell'uomo».
Per curare questa piaga materialistica e individualista, affermava Pio XII nella sua Allocuzione alle delegate delle Leghe Femminili Cattoliche il 14 aprile 1939, «non c'è che un balsamo efficace: il ritorno dello spirito e del cuore umano alla conoscenza e all'amore di Dio, il Padre comune, e di Colui che Egli ha inviato per salvare il mondo: Gesù Cristo. Ora, per versare l'unzione di questo balsamo sulle carni vive dell'umanità straziata da tanti urti, le mani delle donne sembrano provvidenzialmente preparate, rese più docili dalla sensibilità più affinata e dalla tenerezza più delicata del cuore». Ecco l'alta vocazione cui sono destinate le mani di una donna, lasciando da parte i guantoni del pugile.
21 AUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7894
L'ETERNA SFIDA DEI GIOVANI CONTRO I VECCHI di Roberto Marchesini
Girano diversi articoli nei quali si riportano frasi vecchie di secoli nelle quali alcuni barbogi si lamentano dei giovani. Ad esempio Aristotele: «I giovani sono magnanimi; poiché non sono ancora stati umiliati dalla vita, anzi sono inesperti delle ineluttabilità, e il ritenersi degni di grandi cose è magnanimità: e ciò è proprio di chi è facile a sperare [...]. Essi credono di sapere tutto e si ostinano al proposito; questa è appunto la causa del loro eccesso in tutto»; oppure Orazio: «Questa gioventù di sbarbati... non prevede ciò che è utile, sperperando i suoi soldi».
Lo scopo di queste citazioni è più o meno questo: i vecchi si sono sempre lamentati dei giovani, eppure il mondo è ancora qui. I vecchi non amano i cambiamenti e rimpiangono la loro gioventù; per questo il loro mondo gli sembra migliore dell'attuale. Sì, può essere: in effetti in molti considerano infanzia e giovinezza come un periodo bello della loro vita; attribuiscono quindi a quegli anni la bellezza che, invece, era solo nei loro occhi. Tuttavia... se questo bias esiste, non esiste solo per i vecchi: anche i giovani potrebbero leggere con gli occhi della bellezza un mondo e un'epoca che così bella forse non è. Quindi: uno e uno, palla al centro.
I boomer, tuttavia, potrebbero a loro volta obiettare che loro sanno com'era il passato, mentre i giovani non lo sanno. Solo chi ha vissuto il passato può confrontarlo con il presente in modo credibile. A loro volta, i giovani potrebbero replicare «Ok, boomer», aggiudicandosi la partita: coi vecchi è inutile parlare, non sanno niente e non capiscono niente.
È, dunque, un problema insolubile?
Da una parte, la contrapposizione tra generazioni è un tema che ritorna ciclicamente (non so quanto in modo spontaneo) nei momenti turbolenti: negli anni della contestazione i giovani dicevano più o meno le stesse cose dei «matusa». Dall'altro lato, credo che si tratti della solita questione: pensiero classico contro pensiero moderno. Questi due pensieri hanno una concezione del tempo, naturalmente, opposta.
Il pensiero classico è attraversato dal mito dell'età dell'oro, età del latte e del miele che, progressivamente, è degradata. Il cristianesimo fa riferimento, all'origine dei tempi, nientemeno che al paradiso terrestre, nel quale gli uomini erano più vicini a Dio non solo cronologicamente o fisicamente, ma anche ontologicamente. Dal peccato originale e dalla cacciata, la storia dell'umanità è una progressiva decadenza e un allontanamento dal progetto originario di Dio. Si potrebbe obiettare: ci sono stati dei picchi come il Medioevo e la Controriforma.
Ora: io adoro l'architettura gotica e l'arte barocca, dal punto di vista artistico sono indubbiamente delle vette. Tuttavia, come faceva notare qualcuno: davvero i quadri di Caravaggio o le composizioni del Palestrina inducono all'elevazione spirituale? Bisogna riconoscere che l'architettura romanica, il canto gregoriano e ambrosiano, hanno una valenza spirituale superiore. E poi? Esaurita anche la spinta controriformistica? Un progressivo e inesorabile allontanamento dal progetto originario di Dio. Ma Dio stesso è venuto sulla terra! Certo, ma per spalancarci le porte del Cielo, non per migliorare questa valle di lacrime.
Opposta la visione del tempo della modernità: che si faccia riferimento a Comte, a Darwin, Hegel o a Marx, per la modernità ciò che è attuale è necessariamente meglio di ciò che è stato. Le «magnifiche sorti e progressive» cantate (ironicamente?) da Leopardi (Giacomo).
Quindi: per chi è nato e cresciuto in un mondo che, anche solo per inerzia, era ancora un mondo classico (greco, romani e cristiano) è facile pensare che «prima della guerra anche il fango era migliore», come dicono in Polonia: per chi è nato e cresciuto in un mondo integralmente moderno è ovvio che l'oggi è meglio di ieri e non può essere altrimenti.
Cosa ne penso io? Che non so se sia meglio ieri o oggi e nemmeno se abbia senso parlare di meglio o peggio. Tutto ciò che è del mondo cambia, nulla dura in eterno. Tutto è effimero e vano. Tranne la Croce di Cristo. Stat Crux, dum volvitur orbis.
21 AUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7894
L'ETERNA SFIDA DEI GIOVANI CONTRO I VECCHI di Roberto Marchesini
Girano diversi articoli nei quali si riportano frasi vecchie di secoli nelle quali alcuni barbogi si lamentano dei giovani. Ad esempio Aristotele: «I giovani sono magnanimi; poiché non sono ancora stati umiliati dalla vita, anzi sono inesperti delle ineluttabilità, e il ritenersi degni di grandi cose è magnanimità: e ciò è proprio di chi è facile a sperare [...]. Essi credono di sapere tutto e si ostinano al proposito; questa è appunto la causa del loro eccesso in tutto»; oppure Orazio: «Questa gioventù di sbarbati... non prevede ciò che è utile, sperperando i suoi soldi».
Lo scopo di queste citazioni è più o meno questo: i vecchi si sono sempre lamentati dei giovani, eppure il mondo è ancora qui. I vecchi non amano i cambiamenti e rimpiangono la loro gioventù; per questo il loro mondo gli sembra migliore dell'attuale. Sì, può essere: in effetti in molti considerano infanzia e giovinezza come un periodo bello della loro vita; attribuiscono quindi a quegli anni la bellezza che, invece, era solo nei loro occhi. Tuttavia... se questo bias esiste, non esiste solo per i vecchi: anche i giovani potrebbero leggere con gli occhi della bellezza un mondo e un'epoca che così bella forse non è. Quindi: uno e uno, palla al centro.
I boomer, tuttavia, potrebbero a loro volta obiettare che loro sanno com'era il passato, mentre i giovani non lo sanno. Solo chi ha vissuto il passato può confrontarlo con il presente in modo credibile. A loro volta, i giovani potrebbero replicare «Ok, boomer», aggiudicandosi la partita: coi vecchi è inutile parlare, non sanno niente e non capiscono niente.
È, dunque, un problema insolubile?
Da una parte, la contrapposizione tra generazioni è un tema che ritorna ciclicamente (non so quanto in modo spontaneo) nei momenti turbolenti: negli anni della contestazione i giovani dicevano più o meno le stesse cose dei «matusa». Dall'altro lato, credo che si tratti della solita questione: pensiero classico contro pensiero moderno. Questi due pensieri hanno una concezione del tempo, naturalmente, opposta.
Il pensiero classico è attraversato dal mito dell'età dell'oro, età del latte e del miele che, progressivamente, è degradata. Il cristianesimo fa riferimento, all'origine dei tempi, nientemeno che al paradiso terrestre, nel quale gli uomini erano più vicini a Dio non solo cronologicamente o fisicamente, ma anche ontologicamente. Dal peccato originale e dalla cacciata, la storia dell'umanità è una progressiva decadenza e un allontanamento dal progetto originario di Dio. Si potrebbe obiettare: ci sono stati dei picchi come il Medioevo e la Controriforma.
Ora: io adoro l'architettura gotica e l'arte barocca, dal punto di vista artistico sono indubbiamente delle vette. Tuttavia, come faceva notare qualcuno: davvero i quadri di Caravaggio o le composizioni del Palestrina inducono all'elevazione spirituale? Bisogna riconoscere che l'architettura romanica, il canto gregoriano e ambrosiano, hanno una valenza spirituale superiore. E poi? Esaurita anche la spinta controriformistica? Un progressivo e inesorabile allontanamento dal progetto originario di Dio. Ma Dio stesso è venuto sulla terra! Certo, ma per spalancarci le porte del Cielo, non per migliorare questa valle di lacrime.
Opposta la visione del tempo della modernità: che si faccia riferimento a Comte, a Darwin, Hegel o a Marx, per la modernità ciò che è attuale è necessariamente meglio di ciò che è stato. Le «magnifiche sorti e progressive» cantate (ironicamente?) da Leopardi (Giacomo).
Quindi: per chi è nato e cresciuto in un mondo che, anche solo per inerzia, era ancora un mondo classico (greco, romani e cristiano) è facile pensare che «prima della guerra anche il fango era migliore», come dicono in Polonia: per chi è nato e cresciuto in un mondo integralmente moderno è ovvio che l'oggi è meglio di ieri e non può essere altrimenti.
Cosa ne penso io? Che non so se sia meglio ieri o oggi e nemmeno se abbia senso parlare di meglio o peggio. Tutto ciò che è del mondo cambia, nulla dura in eterno. Tutto è effimero e vano. Tranne la Croce di Cristo. Stat Crux, dum volvitur orbis.
13 AUG 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7880
IL GOVERNO MELONI DICHIARA (DI NUOVO) ILLEGALE LA CANNABIS (COSIDDETTA) LIGHT di Giuliano Guzzo
«La cannabis light è fuori legge, passa l'emendamento del governo. A rischio 11.000 posti di lavoro». Per come la mette Repubblica, sembra che il Governo Meloni - peraltro lo stesso che ha portato l'occupazione al record di oltre il 62% - si sia messo in testa di creare un po' di disoccupati e, non sapendo come fare, ha pensato bene di prendersela con un settore a caso: quello che, dalla cosmesi all'erboristeria agli integratori alimentari fino al florovivaismo, ruota attorno alle sostanze derivate dalla pianta di canapa. In realtà, come spesso capita, le cose sono un po' più complesse di quelle raccontate dal quotidiano fondato da Eugenio Scalfari. Vediamo perché.
Tanto per cominciare, c'è da dire che il mercato della "cannabis light" è qualcosa di molto recente nel nostro Paese, essendo la legislazione attuale risalente a meno di dieci anni fa, precisamente alla legge 242 del 2016. Quindi non parliamo esattamente di un architrave del nostro sistema economico; soprattutto, non parliamo - altra cosa che molti fingono di non vedere - di un settore privo di rischi per il bene comune. Basti infatti vedere che cosa, quando il ministro della Salute era Giulia Grillo (non una scatenata proibizionista, ma una esponente del Movimento 5 Stelle), affermava proprio sulla "cannabis light" il Consiglio superiore di Sanità.
Il riferimento è qui al parare del 10 aprile 2018, quando appunto il Consiglio superiore di Sanità ha scritto nero su bianco di ritenere «che la vendita dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di "cannabis" o "cannabis light" o "cannabis leggera", in forza del parere sopra espresso circa la loro pericolosità, qualunque ne sia il contenuto percentuale di Thc, pone certamente motivo di preoccupazione». Nello stesso parere si raccomandava di attivare «nell'interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti».
Per pervenire a queste conclusioni, ci si è basati sulle seguenti considerazioni: nonostante la bassa concentrazione di Thc nella "cannabis light", esistono molti fattori che ne rendono variabile l'assorbimento e la quota finale circolante nel sangue; lo stesso Thc e altre sostanze contenute nella "cannabis light" possono facilmente accumularsi nei tessuti dell'organismo, specie nel grasso e nel cervello, raggiungendo concentrazioni molto superiori a quelle rilevate nel sangue; il consumo avviene al di fuori di ogni controllo, per cui non è possibile verificare quanto prodotto effettivamente sia assunto, compensando con la quantità la scarsa concentrazione di Thc.
Da quel dunque articolare parere, il ministro Grillo - serve forse dirlo? - aveva preso subito le distanze, ma il Consiglio superiore di Sanità era stato chiaro. Allo stesso modo sono chiare le evidenze di una ricerca del dottor Giovanni Serpelloni - direttore dell'Uoc Dipendenze di Verona e attivo anche presso il Dp Institute dell'Università della Florida - che ha messo in luce come dalla "cannabis light", attraverso strumenti specifici, si possa agevolmente estrarre e concentrare il Thc, ottenendo così una sostanza alterante dannosa per la salute. Dunque tutto si può dire fuorché che il mercato che ruota attorno alla "cannabis light" equivalga a qualsiasi altro.
Sempre il dottor Serpelloni aveva commentato: «Mi chiedo perché il Ministero della Salute non abbia ascoltato le indicazioni scientifiche di un Consiglio che riunisce i maggiori scienziati del Paese in termini di salute pubblica. Anche solo per coerenza la cannabis light non dovrebbe essere vendibile, dire che la si può acquistare per profumare l'ambiente significa prendere in giro le persone e la stessa legge che esplicitamente vieterebbe il proselitismo. Eppure anche gli uffici competenti tacciono». Parole che non si possono che condividere e che fanno capire come quanti, oggi, protestano contro l'emendamento del Governo che equipara la "cannabis light" alla tradizionale non lo facciano certo per salvare posti di lavoro, bensì un'ideologia.
Dicendo questo, si badi, non si vuol assolutamente negare solidarietà a chi, in ragione di questa nuova svolta, dovesse a breve affrontare delle difficoltà occupazionali o finanziarie anche serie. Tuttavia, a ben vedere, costoro più che con l'attuale Governo dovrebbero in realtà prendersela con gli esecutivi precedenti, che qualche anno fa li hanno messi nelle condizioni di poter operare su una frontiera oggettivamente delicata e complessa, che corre il rischio di esporre la collettività, in particolare i giovani, a dei seri rischi. E sì dà il caso che non esista ambito economico che valga quella salute e quel benessere che una società, ogni società, deve alle giovani generazioni.
24 JUL 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7860
LA FEDE NON VA IN VACANZA di Don Stefano Bimbi
Come ogni anno eccoci alle "agognate" vacanze. Molti sembrano andare a lavorare al solo scopo di potersi poi permettere le mete estive desiderate. Eppure non è sempre stato così. I nostri bisnonni non andavano mai in vacanza. Chi lavorava nei campi non poteva certo andare via d'estate quando anzi il lavoro aumentava. In Italia fu il fascismo a inculcare l'idea che bisognava andare al mare. E indovinate! Il motivo era la salute. Quanto ci tiene lo Stato alla salute dei cittadini, oggi come ieri! I medici iniziarono a dire che per la salute dei figli occorreva portarli al mare perché l'aria che si respira cura tutte le malattie. E allora frotte di gente si precipitavano sulle spiagge con costumoni che oggi ci fanno ridere, (ma vedendo come si sono assottigliati soprattutto quelli delle donne al giorno d'oggi, viene solo da piangere per quanto il pudore è dimenticato e il corpo profanato).
Ma facciamo alcune considerazioni su come l'uomo di fede può e deve vivere questo "rito" collettivo. Il cattolico si distingue non solo nella vita ordinaria, ma anche dal modo in cui si riposa e si diverte: anche sotto l'ombrellone o in cima a un monte, lo scopo della vita non è un pacchetto turistico, ma il paradiso. Ovviamente non stiamo a valutare se sia meglio il mare o la montagna. Qui interessano alcuni punti fermi per una vacanza degna di un figlio di Dio.
PUNTI FERMI PER IL CRISTIANO
Innanzitutto il cristiano non spende cifre sproporzionate al suo tenore di vita. Chi esagera al solo scopo di ostentare uno stile di vita al di sopra delle proprie possibilità, dimostra un'esistenza triste.
Inoltre il cristiano deve ricordarsi che è tale anche in estate. Non si va mai in vacanza da Dio, dalla fede e dalla morale. Si può andare anche in capo al mondo, ma, ad esempio, non si può dimenticare il precetto della domenica e delle altre feste comandate. Andare alla Messa è sempre possibile e il precetto non si sospende perché "non c'è tempo" o "non so dov'è la chiesa". Nemmeno la distanza da una chiesa officiata da un sacerdote cattolico può valere come scusa. Quando si programma il viaggio bisogna informarsi anche su dove poter andare alla Messa. E non bisogna dimenticare che il rispetto dei luoghi sacri e delle celebrazioni liturgiche vale anche fuori casa. Non ci si presenta alla Messa in ciabatte e pantaloncini perché il sacerdote celebra la Messa sul sagrato o in pineta (oppure, Dio non voglia, direttamente in spiaggia). Non ci si può adeguare a quello che fanno gli altri se questo non rispetta Dio. E non bisogna nemmeno dimenticare che andare a Messa in vacanza è necessario, ma non sufficiente. Occorre, ad esempio, anche la preghiera quotidiana per cui difenderemo la regolarità della vita spirituale anche in vacanza senza vergognarci di appartarci dall'eventuale compagnia in alcuni momenti della giornata.
Inoltre non va dimenticato che l'ozio è il padre dei vizi. La vacanza non può trasformarsi in un "dolce far nulla". Riposare in vacanza è il primo obiettivo, mentre l'ozio va rifuggito sempre impegnandosi ad avere un programma nel quale non manchino sia il riposo che il divertimento, ma anche la preghiera e l'amore del prossimo a cominciare dai suoi familiari a cui dedicare più tempo e attenzione.
NON UNA SCUSA PER PECCARE
A proposito del divertimento bisogna ricordare che non deve essere una scusa per poter peccare. Se questo è ovvio in quanto dobbiamo fuggire e non cercare le occasioni prossime di peccato, meno evidente è che il divertimento non deve farci dimenticare il primo obiettivo, cioè il riposo. Se i posti frequentati, la folla e il rumore caratterizzano la nostra vacanza, allora ben possiamo dire che torneremo a casa più stanchi di prima e allora... perché siamo partiti? Potevamo stancarci gratis continuando con le normali attività a casa.
Non va dimenticato inoltre che in vacanza possiamo dedicare del tempo alle letture edificanti che magari non siamo riusciti a coltivare durante l'anno: gli scritti dei santi o le loro vite, i romanzi storici di Louis de Wohl oppure i libri consigliati proprio in questo numero della nostra rivista e, perché no, anche la stessa Bussola Mensile. Per chi può permetterselo sarebbe bello trascorrere un po' di tempo nel silenzio di un monastero per ritemprare lo spirito, ma per chi ha famiglia è pressoché impossibile e allora perché non visitare almeno un santuario, una cattedrale o un luogo dove è avvenuto un miracolo o un'apparizione? E perché non approfittare per la confessione e la direzione spirituale?
Parlando di vacanze e di famiglia non si può infine tacere la leggerezza con cui quasi tutti i genitori lasciano fare ai figli vacanze assolutamente immorali come quelle, ad esempio, fatte in gruppo da ragazzi e ragazze insieme o addirittura il fidanzato con la fidanzata come fossero già sposati. Incoraggiare o anche solo permettere simili vacanze di maschi con femmine è favorire situazioni prossime di peccato, mentre le vacanze dei fidanzati sono istigazione al peccato. Il genitore deve essere tassativo sul rispetto della morale cristiana e, finché il figlio abita nella sua casa, non può giustificarsi dicendo che "ormai è grande". Fino a quando il figlio non diventa autonomo, con una casa e un reddito propri, è obbligato dal quarto comandamento all'ubbidienza verso i genitori e quindi questi ultimi rispondono davanti a Dio delle occasioni di peccato da loro permesse o anche solo tollerate. San Paolo ammoniva: «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,2). A volte si ha l'impressione che i genitori si siano perfettamente conformati alla «mentalità di questo secolo». E le conseguenze per le nuove generazioni sono sotto gli occhi di tutti.
9 JUL 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7849
DIECI COSE SULLA PORNOGRAFIA CHE NON SAI di Manuela Antonacci
La pornografia e i suoi effetti negativi sulle persone sono ampiamente denunciati nella comunità scientifica e, tuttavia, non se ne parla o non se ne parla abbastanza. Eppure ci sono elementi sufficienti per denunciare questo business. Solo per citarne due: il traffico di esseri umani e gli abusi sui minori. Ma ci sono tanti aspetti su cui si riflette poco, altrettanto nocivi. Riprendendo quanto riportato dal sito ReligionenLibertad, analizziamo 10 solo per indicarne alcuni.
1. LA PORNOGRAFIA È LEGATA AL TRAFFICO SESSUALE
Nel caso del traffico di esseri umani, questo può riguardare molte situazioni: pensiamo per esempio, ai bambini tailandesi venduti come schiavi sessuali o i casi di giovani donne attirate in un bordello con la promessa di un lavoro. Spesso, nonostante le vittime abbiano la libertà fisica di muoversi, tuttavia, il trafficante le mantiene in schiavitù attraverso la frode, la violenza fisica e l'intimidazione psicologica.
2. LA PORNOGRAFIA È COLLEGATA ALLO SFRUTTAMENTO MINORILE
Pensiamo solo al genere "teen porno", uno dei termini più ricercati, negli ultimi cinque anni, sui principali siti che offrono questi contenuti. I filmati mirano a normalizzare gli abusi sui minori. Infatti, un cliché ricorrente, in questa categoria, è la storia dell'adolescente che viene sfruttata da un uomo più anziano. Una fantasia tossica che alimenta l'abuso fino a normalizzarlo.
3. GLI ABUSI SUGLI ATTORI
L'industria del porno non si prende esattamente cura dei suoi attori. Infatti, non tutto ciò che accade sul set è consensuale. Una famosa attrice porno, Nikki Benz, è stata una delle prime artiste a parlare degli abusi subiti e a denunciarli nel 2016, e lo ha fatto descrivendo l'aggressione improvvisa, subita durante le riprese di una scena, in cui il protagonista le ha calpestato la testa e l'ha strangolata.
4. I CONSUMATORI FRUISCONO DI IMMAGINI FRUTTO DI VIOLENZE
Molte persone credono che se una persona recita in un film porno, il consenso sia scontato. Ma si tratta solo di un'ipotesi che non trova sempre conferma. In realtà, poi, di fronte alla telecamera, gli attori accetteranno gli atti a cui verrà detto loro di partecipare e, una volta completate le riprese, saranno costretti a dire che tutto era secondo il loro consenso, altrimenti il filmato della giornata verrà distrutto. E, inoltre, solo affermando che le riprese siano state effettuate in piena consapevolezza, sarà sicuro che verranno pagati per il "lavoro" svolto.
5. IL PORNO COME DIPENDENZA E OSSESSIONE
La pornografia colpisce il cervello: quando una persona guarda un contenuto pornografico inganna il proprio cervello inducendolo a pompare dopamina come se stesse guardando un potenziale partner. Questo, bombardamento forte e continuo, tuttavia, porta ad una graduale desensibilizzazione e, dunque, a ricercare quella sensazione sempre di più. Per cui da semplice abitudine questa ricerca, si trasforma in una dipendenza.
6. IL CONSUMO DEL PORNO SFOCIA NELLA VIOLENZA
La pornografia non è solo dipendenza, che sottrae tempo e attenzione alla vita quotidiana, ma può portare anche alla ricerca spasmodica di materiale più violento, di qualcosa che, prima di iniziare la discesa all'inferno nel mondo a luci rosse, sarebbe stato considerato inaccettabile o "disgustoso", come la pornografia infantile.
7. IL PORNO TI CAMBIA LO SGUARDO
La fruizione di materiale a luci rosse non rimane solo all'interno di uno schermo, ma entra in ogni aspetto della vita dei consumatori, fino a cambiare lo sguardo verso gli altri. La pornografia può persino alterare le preferenze sessuali di un consumatore, al punto che una persona può non rispondere più sessualmente allo stesso modo al proprio partner. E' stato scoperto anche che la visione della pornografia influenza gli atteggiamenti e le convinzioni nei confronti delle donne e delle relazioni. Da uno di questi studi è emerso che «le persone che consumano materiale pornografico, più frequentemente, hanno maggiori probabilità di arrivare ad approvare la violenza sessuale, fino ad impegnarvici di persona». Ovviamente, non tutti coloro che guardano il porno diventeranno violentatori o stupratori, ma questi risultati dovrebbero portarci a mettere in discussione la fruizione di materiale pornografico.
8. LA PORNOGRAFIA CORRODE LA FIDUCIA IN SE STESSI
Il consumo di pornografia è stato correlato a livelli più elevati di insoddisfazione fisica. In uno studio condotto su un gruppo di studenti universitari che consumavano materiale pornografico si è cercato di valutare il modo in cui si percepivano, in termini di soddisfazione corporea, soddisfazione relazionale e benessere emotivo generale. Si è scoperto che i ragazzi che guardano film a luci rosse hanno un minore senso di sicurezza emotiva. Hanno maggiori probabilità di provare ansia relazionale e di isolarsi maggiormente, rispetto ai loro pari che non consumano porno. Le donne riferiscono anche una mancanza di fiducia in se stesse e persino odio verso il proprio corpo dopo aver visto il porno.
9. LA PORNOGRAFIA AVVELENA LE RELAZIONI SENTIMENTALI
Circola da sempre la bufala secondo cui guardare la pornografia in coppia, sia utile per le relazioni sentimentali. In realtà è esattamente l'opposto. I ricercatori hanno scoperto che il consumo di pornografia fa sì che molte persone siano meno soddisfatte dell'aspetto fisico, delle prestazioni sessuali, della curiosità sessuale e dell'affetto del proprio partner. Nel corso del tempo, i consumatori tendono a diventare meno impegnati nelle loro relazioni, ad entrare meno in intimità con i loro partner e ad essere meno soddisfatti della loro vita romantica e sessuale. In altre parole: guardare contenuti sessualmente espliciti può danneggiare la vita sessuale reale.
10. IL PORNO NON ESISTE NELLA REALTÀ
Il porno costruisce fantasie e racconta palesi bugie sull'amore, sul corpo umano e sul sesso, e le sue conseguenze possono essere drammatiche. Secondo la pornografia, le donne sono desiderose di fare sesso sempre, ovunque e con chiunque. Secondo il porno, tutto ciò che gli uomini vogliono in una relazione è il sesso, e ne hanno il diritto, anche se è necessaria la forza. Il porno promette soddisfazione immediata, eccitazione infinita e intimità facile, ma alla fine nessuna delle tre cose è vera.
9 JUL 2024 · TESTO DELL'ARTICOLO ➜ https://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=7846
COME COMBATTERE GLI SCRUPOLI (CHE NON SONO LA VOCE DI DIO, MA DEL DIAVOLO) di Roberto Marchesini
Oggi ci occupiamo degli scrupoli. La parola «scrupolo» deriva dal latino scrupulus, cioè sassolino. È il proverbiale "sassolino nella scarpa", ossia qualcosa di microscopico che però è fastidiosissimo e sembra enorme, gigantesco. È un problema spirituale che consiste nel sentirsi perennemente e gravemente inadempiente nei confronti delle leggi morali e religiose, dei propri doveri di cristiano. È un grosso problema psicologico che procura enormi sofferenze: ansia, inquietudine, continuo esame su pensieri, azioni e omissioni, momenti di profondo sconforto. Vediamo quindi di analizzare il problema e di proporre qualche aiuto per chi ne soffre.
Il primo e fondamentale scoglio da affrontare è la consapevolezza di avere un problema. Bisogna accettare l’idea che non si è obiettivi nel valutare se stessi, non si è in grado di fare una valutazione realistica e serena della propria persona. In una parola: si manca di umiltà. Per fare un esempio, è come se io facessi un viaggio in automobile e indossassi un paio di occhiali da sole; se mi dimentico di averli indossati, entrando in una galleria non vedrò più niente. Se, invece, sarò consapevole di indossare un paio di lenti scurenti, all’ingresso in galleria solleverò gli occhiali e potrò vedere la strada. La persona scrupolotica indossa, nel valutare se stesso, le proprie azioni e i propri pensieri, delle lenti scurenti: vede tutto più nero di come le cose sono in realtà. Se si rende conto che il mondo non è buio e oscuro, ma è il suo modo di vedere le cose, può «fare la tara», ossia prendere le distanze dalla sua opinione viziata dagli scrupoli.
Bisogna poi considerare che gli scrupoli non sono nostri amici, un aiuto per vivere cristianamente, tutt’altro: sono il nostro peggior nemico. Consideriamo le conseguenze degli scrupoli: isolamento, tristezza, sfiducia in Dio e nella Sua promessa di salvezza, omissione dei doveri di stato e, infine ma non ultimo, il peccato. Perché spesso, l’unico rimedio alla tristezza o, addirittura alla disperazione indotta dagli scrupoli, è il peccato mortale. Si capisce immediatamente, quindi, che gli scrupoli non sono la voce di Dio che parla alla nostra coscienza, ma uno strumento del diavolo che ci inganna, ci allontana dall’amore di Dio e ci conduce al peccato. Come scrive sant’Ignazio di Loyola negli Esercizi Spirituali: «Il demonio osserva bene se un’anima è grossolana o delicata. Se è delicata, cerca di renderla ancor più delicata fino all’eccesso, per turbarla e confonderla maggiormente; per esempio, se vede che uno non consente né a peccato mortale né a peccato veniale, né ad alcuna ombra di peccato volontario, allora il demonio, quando non può farlo cadere in qualche cosa che sembri peccato, cerca di fargli credere peccato quello che peccato non è, come una parola o un pensiero senza importanza» (349). Restando sempre agli Esercizi, sant’Ignazio spiega (nelle regole per il discernimento degli spiriti) che gli spiriti buoni, con le loro ispirazioni, serenità e gioia; mentre inquietudine e tristezza sono gli effetti delle ispirazioni degli spiriti malvagi. Dunque, chi decidiamo di ascoltare? Il nostro angelo custode o il nostro diavolo custode?
Una volta che lo scrupolotico ha sviluppato un atteggiamento diffidente nei confronti dei propri tormenti, si può procedere limitando o eliminando i continui rimuginamenti. Non possiamo perdere intere giornate a interrogarci accanitamente su ogni pensiero, azione o omissione: abbiamo delle cose da fare, abbiamo i nostri doveri di stato, ci sono persone che hanno bisogno di noi. Anche in questo caso, è una questione di umiltà: si tratta di accettare che, in questa vita, non tutto è chiaro, definito, prima di ombre. Fa parte della condizione umana: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa» (1 Cor 13,12). Procediamo a tentoni, sforzandoci di vivere meglio possibile, ma dobbiamo accettare la nostra limitatezza. Certi che, dopo questo esilio, sempre per seguire san Paolo, «vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto» (ibidem). Si tratta solo di aspettare.
Occorre chiarire un punto: la tentazione non è un peccato. Sì, perché lo scrupolotico considera peccato anche le tentazioni. Bene: Gesù non ha mai commesso un solo peccato, nemmeno veniale; eppure è stato tentato (Mt 4). La tentazione è una occasione, permessa da Dio perché possiamo guadagnarci il Paradiso; se superiamo la tentazione non abbiamo peccato ma, al contrario, abbiamo guadagnato dei meriti. Dunque il punto non è se siamo stati tentati o meno, ma come ci siamo comportati nella tentazione: l’abbiamo superata oppure no?
Altro punto: il Catechismo insegna che, perché ci sia un peccato mortale, devono essere soddisfatte contemporaneamente tre condizioni: materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso (CCC 1857). La materia grave è definita dai Dieci Comandamenti; la piena avvertenza consiste nella consapevolezza che quella cosa sia un peccato; il deliberato consenso è la piena e libera adesione della volontà al compimento di un atto malvagio conosciuto come tale. Se non c’è questa libera adesione al male, non c’è peccato mortale. Giovanni Paolo II, nella sua purtroppo dimenticata Teologia del corpo, insegna che il peccato non consiste (soltanto) nell’atto ma, soprattutto, nell’intenzione. «Avete inteso che fu detto: Non commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla [cioè con l’intenzione di desiderarla], ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,27-28). Se, dunque, ho il dubbio di aver mancato di rispetto a Dio o alle cose sante, di aver indugiato in pensieri sconvenienti o peggio, posso chiedermi: avevo l’intenzione piena e deliberata di compiere un peccato mortale?
È fondamentale avere un confessore o un direttore spirituale (cosa, quest’ultima, sempre più difficile); ma è ancora più importante affidarsi a un confessore o a un direttore spirituale. Spiego. Molti scrupoli riguardano proprio la confessione: mi sarò spiegato bene? Avrò confessato proprio tutto? Avrò omesso qualcosa? Avrà capito bene la gravità di ciò che ho fatto? La penitenza sarà adeguata? L’assoluzione sarà valida? Eccetera eccetera. Ora: il buon Dio ha stabilito il mondo in modo ordinato; il che significa che ognuno ha il suo ruolo e le sue responsabilità. Il ruolo del confessore è confessare; quello del direttore, dirigere. È il loro compito, non il nostro. La responsabilità di chiedere delucidazioni, chiarimenti, di valutare la gravità dei peccati e di comminare una penitenza adeguata è del confessore; la valutazione dello stato spirituale e morale del diretto è del direttore. Quindi, se ci affidiamo a loro, facciamolo davvero. Lasciamo a loro la responsabilità: se sbagliano, ne risponderanno loro. O vogliamo forse saperne più di loro? E torna nuovamente il tema dell’umiltà...
Ed ecco, infine, la regola aurea: nel dubbio, non è peccato. Il bene e il male non generano dubbi: sono chiari. Se io voglio liberamente compiere una azione malvagia sapendo che è un male, non ho dubbi; se io voglio fare del bene, non ho dubbi. Se ho dei dubbi, è uno scrupolo. Quindi devo rigettarlo.
I RIMEDI
I rimedi agli scrupoli secondo il Compendio di teologia ascetica e mistica di padre Adolphe Tanquerey (1854-1932):
944. Bisogna combattere lo scrupolo subito da principio, prima che si sia profondamente radicato nell’anima. Ora il grande, anzi, a dir vero, l’unico rimedio è la piena e assoluta obbedienza a un savio direttore: oscuratasi la luce della coscienza, bisogna ricorrere ad altra luce; lo scrupoloso è come una nave senza timone e senza bussola: bisogna rimorchiarlo. (...)
945. (...) Ora con lo scrupoloso, non si deve discutere ma parlare con autorità, dicendogli nettamente quel che deve fare. Per ispirare questa confidenza, il direttore deve meritarla per competenza e premura.
946. Guadagnata la confidenza, bisogna esercitare l’autorità ed esigere obbedienza, dicendo allo scrupoloso: se volete guarire, dovete ubbidire ciecamente: obbedendo, siete pienamente al sicuro, quand’anche il direttore sbagli, perché Dio in questo momento a voi non chiede altro che di obbedire. La cosa è talmente così, che se voi non vi sentiste di obbedirmi, bisogna che vi cerchiate un altro direttore: la sola ubbidienza cieca vi potrà guarire e vi guarirà certamente.
947. Venuto il tempo, il direttore inculca il principio generale, che darà modo allo scrupoloso di disprezzar tutti i dubbi; occorrendo, lo può anche dettare in questa o altra simile forma: "Per me, in fatto di obbligo di coscienza, non c’è che l’evidenza che conta, ossia certezza tale che escluda ogni dubbio, certezza calma e piena, chiara come due e due fanno quattro; (...) fuori di questo caso, per me nessun peccato". Quando lo scrupoloso si presenterà affermando di aver commesso un peccato veniale o mortale, il confessore gli dirà: Potete giurare di aver chiaramente visto, prima di operare, che quell’azione era peccato e che, avendolo chiaramente visto, pure ci avete dato pieno consenso? Questa interrogazione chiarirà la regola e la farà capir meglio.
RICORDA
Sconfiggere gli scrupoli in 7 mosse:
1) Fai la tara a quello che pensi (non sei obiettivo).
2) Gli scrupoli sono il tuo nemico (non un tuo amico).
3) Evita i rimuginamenti.
4) La tentazione non è un peccato.
5) Se non avevi l’intenzione di fare il male, non è un peccato.
6) Affidati (ciecamente) al confessore o al
L'etica ci aiuta a comprendere la distinzione tra bene e male in modo da fare buon uso della libertà
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