Sabino Maria Frassà "Pars Construens"

Dec 18, 2021 · 11m 59s
Sabino Maria Frassà "Pars Construens"
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Sabino Maria Frassà "Pars Construens" Mostra di Fulvio Morella Gaggenau DesignElementi Hub, Milano https://amanutricresci.com/ L’arte è di tutti. A Milano i quadri-scultura di Fulvio Morella sono un’esperienza artistica a 360...

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Sabino Maria Frassà
"Pars Construens"
Mostra di Fulvio Morella
Gaggenau DesignElementi Hub, Milano
https://amanutricresci.com/


L’arte è di tutti.
A Milano i quadri-scultura di Fulvio Morella sono un’esperienza artistica a 360 gradi.

A Milano ha aperto i battenti l’innovativa mostra “Pars Construens” curata da Sabino Maria Frassà e dedicata ai quadri-scultura di Fulvio Morella. Fino al 25 febbraio sarà possibile vedere al Gaggenau DesignElementi Hub queste opere che riflettono sul significato di progresso e futuro attraverso il legno tornito unito al metallo, all’architettura, all’archeologia e alla scrittura in braille a 200 anni dalla sua ideazione. “L’arte può e deve essere di tutti, perché ognuno di noi è semplicemente unico e diverso nel modo in cui vive il mondo che ci circonda”. Con queste parole l’artista introduce la mostra che è la prima tappa del progetto artistico “Blind Wood” in cui la scrittura in braille da un lato diventa elemento decorativo, dall’altro è la chiave per comprendere e interpretare le forme delle opere solo a prima vista astratte. In realtà tutti i quadri scultura in mostra rileggono in ottica contemporanea noti monumenti, luoghi storici e simboli di un’antichità ancora viva ai giorni d’oggi: dagli Anfiteatri di Milano, Catania e Lucca, al Pantheon, all’Arena di Verona alle rosse cupole di Palermo. Il braille diventa così il ponte che unisce il passato al futuro, facendo comprendere come i limiti siano i punti di partenza per crescere. “Il progresso è assimilazione” ripete l’artista e le sue opere sono un raccontano multisensoriale, olistico e inclusivo su come l’umanità evolva in modo corale, assimilando e rielaborando il proprio passato, senza mai negarlo né cancellarlo del tutto.

L’origine del titolo della mostra Pars construens è da ricercarsi nella nota locuzione latina impiegata per la prima volta da Bacone nel XVI secolo per indicare un’attitudine costruttiva e propositiva nell’affrontare ogni aspetto dell’esistenza. Come spiega il curatore Frassà “Morella impiega la storia dell’architettura e del braille per mostrarci l’attualità della riflessione del filosofo inglese Bacone, per cui nell’uomo coesistono una “pars destruens”, che critica e demolisce, e una “pars construens” in grado di discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato, ovvero di elaborare il passato e ciò che ci circonda per farne qualcosa di nuovo. Le nostre città sono del resto frutto di una stratificazione architettonica, di un’operazione secolare di assimilazione integrativa, che i più ignorano: dalle piante delle città di origine romana, alle chiese costruite sui templi pagani, alle chiese costruite su altre chiese precedenti, agli edifici costruiti con il materiale degli edifici preesistenti. Fulvio Morella realizza così opere che celebrano i luoghi-simbolo: il ciclo degli anfiteatri (Verona, Milano, Lucca e Catania) ma anche i luoghi di culto rivissuti nei secoli (dal Pantheon alla chiesa di San Giovanni degli Eremiti a Palermo)”.

L’importanza “dell’altro” e di “ciò che ci circonda” è il fulcro della mostra di Morella. L’artista introduce questo concetto nel suo lavoro in modo esplicito attraverso il braille, che per la prima volta compare nelle sue opere a fianco del legno tornito e delle superfici metalliche che hanno caratterizzato le opere precedenti. Solo attraverso la lettura delle “decorazioni in braille”, stampate in 3D su tutte le opere, si potrà comprendere cosa rappresentino realmente. Queste opere multisensoriali potranno essere così pienamente comprese solo attraverso la condivisione dei linguaggi (visivo, tattile e braille) e, come ripete sempre l’artista, “aiutandosi gli uni con gli altri. Perché le mie opere premiano la diversità, anche fisica. Il futuro, del resto, non è mai autoreferenziale e non nasce da un ripiegarsi su noi stessi, quanto dal dialogo con ciò che è diverso nel tempo e nello spazio”.





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