Omelia IV Dom. di Quar. - Anno C (Lc 15,1-3.11-32)
Mar 22, 2022 ·
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6837 OMELIA IV DOM. DI QUAR. - ANNO C (Lc 15,1-3.11-32) La parabola del figliuol prodigo è una delle più belle pagine della Sacra Scrittura, che ci...
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TESTO DELL'ARTICOLO ➜ www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=6837
OMELIA IV DOM. DI QUAR. - ANNO C (Lc 15,1-3.11-32)
La parabola del figliuol prodigo è una delle più belle pagine della Sacra Scrittura, che ci parla della Misericordia di Dio per noi peccatori. Il padre è Dio e il figlio è l'uomo. Per quanto grande possa essere il peccato dell'uomo, molto più grande, infinitamente più grande, è la Misericordia di Dio. Giuda ha commesso due peccati molto grandi: il primo è stato quello di tradire il Signore; il secondo quello di disperarsi, di non credere alla Misericordia di Dio. Di certo, molto più grande è stato il peccato di disperazione. Se avesse confidato in Dio, nella sua Bontà, e avesse chiesto perdono, certamente Dio lo avrebbe perdonato.
Un giorno san Luigi Orione fu invitato in una parrocchia a predicare. Il tema della predicazione era quello della Misericordia di Dio. Volendo dare un esempio della Bontà di Dio, sempre pronto al perdono, ad un certo punto gli venne in mente di dire che, se anche uno avesse ucciso la propria madre mettendo del veleno nel piatto dove mangiava, se veramente pentito di questo enorme peccato, Dio lo perdonerebbe. Al termine della funzione, lasciò quella parrocchia e andò alla stazione ferroviaria per tornarsene a casa. Alla stazione fu raggiunto da una persona sconvolta. Quell'uomo gli disse: «Lei, padre, certamente mi conosce!». «No – rispose –, non l'ho mai vista!». «Eppure lei mi deve conoscere – continuò l'uomo – perché ha parlato proprio di me nella predica: io sono quell'uomo che ha avvelenato la propria madre. Ma veramente Dio mi può perdonare?». L'uomo spiegò che vent'anni prima aveva compiuto quell'orribile peccato e che dopo si era amaramente pentito, ma non credeva di poter essere perdonato. Aveva trascorso vent'anni di disperazione, ma finalmente quel giorno scoprì, come il figliuol prodigo, l'immensa Misericordia di Dio. Si confessò, lì alla stazione, da san Luigi Orione, e ritrovò finalmente la pace.
Nel brano del Vangelo che abbiamo letto ci sono dei particolari da cui possiamo ricavare dei preziosi insegnamenti.
Lontano da casa e sperperati tutti i suoi averi, il figliuol prodigo fu costretto «a pascolare i porci» (Lc 15,15). Desiderava sfamarsi con le carrube, ma nessuno gliene dava. Il peccato ci priva del bene più grande che è la grazia di Dio e noi diventiamo le creature più miserabili. Inoltre, il peccato, a volte, porta anche alla miseria materiale. Dove c'è miseria, sovente ci sono dei peccati alla base, propri o altrui. La povertà è una virtù evangelica; la miseria è una piaga da combattere e si combatte eliminando prima di tutto i peccati, in modo particolare la bestemmia, le profanazioni delle feste e i peccati contro la vita.
Allora il figliuol prodigo rientrò in se stesso e disse: «Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio» (Lc 15,18). Dio visita i nostri cuori con i rimorsi di coscienza: dobbiamo essere solleciti a levarci, a rialzarci dopo la caduta, ad andarci subito a confessare. Se brutto è il peccato, più brutto è lo scoraggiamento che ci impedisce di tornare a Dio.
«Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15,20). La Misericordia di Dio ci insegue fino al letto di morte e aspetta il momento del nostro pentimento. La sua grazia previene e accompagna sempre il nostro ritorno a Lui.
Una volta tornato a casa il figlio, il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi» (Lc 15,22). Non è il padre a rivestire il figlio, ma sono i servi. E così Dio si serve dei suoi servi, dei sacerdoti, per rivestire i peccatori, per ridare loro la veste nuova della grazia. Ecco dunque la Confessione. Dio ci perdona subito dopo il nostro pentimento, ma dobbiamo andare dal sacerdote per essere rivestiti, per essere assolti con il sacramento della Riconciliazione, e solo dopo aver fatto questo possiamo prendere parte al banchetto dell'Eucaristia.
Il testo del Vangelo continua dicendo che il figlio maggiore, udite la musica e le danze, «si indignò, e non voleva entrare» (Lc 15,28). È questo un peccato di invidia, un peccato contro lo Spirito Santo. Quante volte anche noi, senza pensarci, invidiamo la grazia altrui e ci rattristiamo per i benefici che Dio largisce al nostro prossimo. Se grande è stato il peccato del figliuol prodigo, ancor più grande è stato il peccato del figlio maggiore.
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OMELIA IV DOM. DI QUAR. - ANNO C (Lc 15,1-3.11-32)
La parabola del figliuol prodigo è una delle più belle pagine della Sacra Scrittura, che ci parla della Misericordia di Dio per noi peccatori. Il padre è Dio e il figlio è l'uomo. Per quanto grande possa essere il peccato dell'uomo, molto più grande, infinitamente più grande, è la Misericordia di Dio. Giuda ha commesso due peccati molto grandi: il primo è stato quello di tradire il Signore; il secondo quello di disperarsi, di non credere alla Misericordia di Dio. Di certo, molto più grande è stato il peccato di disperazione. Se avesse confidato in Dio, nella sua Bontà, e avesse chiesto perdono, certamente Dio lo avrebbe perdonato.
Un giorno san Luigi Orione fu invitato in una parrocchia a predicare. Il tema della predicazione era quello della Misericordia di Dio. Volendo dare un esempio della Bontà di Dio, sempre pronto al perdono, ad un certo punto gli venne in mente di dire che, se anche uno avesse ucciso la propria madre mettendo del veleno nel piatto dove mangiava, se veramente pentito di questo enorme peccato, Dio lo perdonerebbe. Al termine della funzione, lasciò quella parrocchia e andò alla stazione ferroviaria per tornarsene a casa. Alla stazione fu raggiunto da una persona sconvolta. Quell'uomo gli disse: «Lei, padre, certamente mi conosce!». «No – rispose –, non l'ho mai vista!». «Eppure lei mi deve conoscere – continuò l'uomo – perché ha parlato proprio di me nella predica: io sono quell'uomo che ha avvelenato la propria madre. Ma veramente Dio mi può perdonare?». L'uomo spiegò che vent'anni prima aveva compiuto quell'orribile peccato e che dopo si era amaramente pentito, ma non credeva di poter essere perdonato. Aveva trascorso vent'anni di disperazione, ma finalmente quel giorno scoprì, come il figliuol prodigo, l'immensa Misericordia di Dio. Si confessò, lì alla stazione, da san Luigi Orione, e ritrovò finalmente la pace.
Nel brano del Vangelo che abbiamo letto ci sono dei particolari da cui possiamo ricavare dei preziosi insegnamenti.
Lontano da casa e sperperati tutti i suoi averi, il figliuol prodigo fu costretto «a pascolare i porci» (Lc 15,15). Desiderava sfamarsi con le carrube, ma nessuno gliene dava. Il peccato ci priva del bene più grande che è la grazia di Dio e noi diventiamo le creature più miserabili. Inoltre, il peccato, a volte, porta anche alla miseria materiale. Dove c'è miseria, sovente ci sono dei peccati alla base, propri o altrui. La povertà è una virtù evangelica; la miseria è una piaga da combattere e si combatte eliminando prima di tutto i peccati, in modo particolare la bestemmia, le profanazioni delle feste e i peccati contro la vita.
Allora il figliuol prodigo rientrò in se stesso e disse: «Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio» (Lc 15,18). Dio visita i nostri cuori con i rimorsi di coscienza: dobbiamo essere solleciti a levarci, a rialzarci dopo la caduta, ad andarci subito a confessare. Se brutto è il peccato, più brutto è lo scoraggiamento che ci impedisce di tornare a Dio.
«Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15,20). La Misericordia di Dio ci insegue fino al letto di morte e aspetta il momento del nostro pentimento. La sua grazia previene e accompagna sempre il nostro ritorno a Lui.
Una volta tornato a casa il figlio, il padre disse ai servi: «Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi» (Lc 15,22). Non è il padre a rivestire il figlio, ma sono i servi. E così Dio si serve dei suoi servi, dei sacerdoti, per rivestire i peccatori, per ridare loro la veste nuova della grazia. Ecco dunque la Confessione. Dio ci perdona subito dopo il nostro pentimento, ma dobbiamo andare dal sacerdote per essere rivestiti, per essere assolti con il sacramento della Riconciliazione, e solo dopo aver fatto questo possiamo prendere parte al banchetto dell'Eucaristia.
Il testo del Vangelo continua dicendo che il figlio maggiore, udite la musica e le danze, «si indignò, e non voleva entrare» (Lc 15,28). È questo un peccato di invidia, un peccato contro lo Spirito Santo. Quante volte anche noi, senza pensarci, invidiamo la grazia altrui e ci rattristiamo per i benefici che Dio largisce al nostro prossimo. Se grande è stato il peccato del figliuol prodigo, ancor più grande è stato il peccato del figlio maggiore.
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