Il rilfesso dell'entropia distopica della Guerra rispecchiata nei singoli cocci dei conflitti locali
Mar 14, 2024 ·
57m 14s
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Description
Lento declino dell’impero: i focolai della Guerra si addensano sul golfo di Aden e deflagrano https://ogzero.org/tag/armi/ Una partita complessa e feroce che si sta manifestando con molti conflitti che divampano...
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Lento declino dell’impero: i focolai della Guerra si addensano sul golfo di Aden e deflagrano
https://ogzero.org/tag/armi/
Una partita complessa e feroce che si sta manifestando con molti conflitti che divampano in un unico quadro generale di guerra dichiarata, con esibizione di muscoli, oppure con stragi e carneficine; ribaltamenti di posizioni di forza e alleanze; passaggi ardui con missioni anodine, come i rapporti di belligeranza tra stati armati fino ai denti e milizie, con armi adatte alla guerra sul territorio; potenze nucleari e vecchi contenziosi estratti dalle ceneri della storia di Trenta anni di potenza unica incontrastata. E tanti civili massacrati in mezzo.
Con Francesco Dall’Aglio abbiamo compiuto un viaggio globale negli innumerevoli panorami di guerra, sempre tornando in qualche modo verso il Mar Rosso, dove ci aspettava la lente di ingrandimento di Matteo Palamidesse a illustrarci l’emblematica interpretazione locale del più diffuso vento nazionalista: il Sudan, la provocazione eritrea nel Tigray da anni sotto scacco, le tensioni interne all’Etiopia, il Somaliland e gli interessi sui porti dell’Oceano indiano.
Ma soprattutto gli Houthi, gruppo ribelle che rappresenta una nazione e che ha appena resistito ai sauditi, che ha colto nel segno bloccando lo stretto di Bab el Mandeb e costringendo gli europei a inviare navi da guerra nell’Oceano indiano a difendere merci e cavi. Esportazioni di problemi occidentali: il neocolonialismo è il risultato dell’esportazione tracotante di democrazia, che produce la scomposizione dei continenti in frammenti che diventano schegge che si ricompongono sotto altre influenze (Wagner, Cina, Turchia… Emirati) attraverso spaccature che passano attraverso conflitti locali e sacche di resistenza a macchia d’olio. Centrale di questo movimento è la decomposizione del Sudan, dove nuovi attori vanno a occupare gli spazi lasciati dalla deflagrazione e si appropriano delle macerie, laddove il distante impero non riesce e non vuole intervenire, perché il ritorno non pagherebbe lo sforzo.
Dal conflitto asimmetrico al rifiuto fallimentare della diplomazia
Nonostante il favorevole sistema di guerra che consente all’Occidente boom di vendite di armi, come sancito dal Sipri, la messa in crisi della supremazia occidentale produce vuoti di potere (dai risvolti imprevisti), come quello in Sahel da parte dell’anello debole francese, in cui si incuneano forze che fanno convergere l’intolleranza per il neocolonialismo sull’alternativa offerta da potenze altrettanto coloniali, dando libero sfogo a guerre che costituiscono una collana di innumerevoli mercati che assorbono e consumano armi, prodotte per lo più dall’odiata Babylon occidentale, e ciascuna perla di quella collana è una potenziale area di tensione che esplode localmente, ma essendo correlata globalmente divampa in una rete di adeguamenti al nuovo sistema mondiale immerso in un unico grande Sistema di Guerra in tutta la sua filiera fatta di mercati, affari, nazionalismi, eserciti, milizie, distruzioni, stragi, fame, genocidi soffocati per decenni. E ancora una volta sembra emblematico il costruendo porto di Khan Younis, appeso alla foglia di fico degli aiuti umanitari, s’inizia con gli affari legati alla sua costruzione, il suo prevedibile uso per la deportazione dei palestinesi residui, sgomberati dalla Striscia verso il Ruanda via Larnaca. Una soluzione che era nei piani di Netanyahu fin dalle mappe sbandierate poco prima del 7 ottobre come un drappo rosso di fronte al toro, per far giungere sul litorale di Gaza le merci che transiteranno dal corridoio saudita preconizzato in alternativa alla Bri cinese. Un capolavoro di infamia geopolitica, che s’illude di rispondere al declino dell’Impero americano.
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Una partita complessa e feroce che si sta manifestando con molti conflitti che divampano in un unico quadro generale di guerra dichiarata, con esibizione di muscoli, oppure con stragi e carneficine; ribaltamenti di posizioni di forza e alleanze; passaggi ardui con missioni anodine, come i rapporti di belligeranza tra stati armati fino ai denti e milizie, con armi adatte alla guerra sul territorio; potenze nucleari e vecchi contenziosi estratti dalle ceneri della storia di Trenta anni di potenza unica incontrastata. E tanti civili massacrati in mezzo.
Con Francesco Dall’Aglio abbiamo compiuto un viaggio globale negli innumerevoli panorami di guerra, sempre tornando in qualche modo verso il Mar Rosso, dove ci aspettava la lente di ingrandimento di Matteo Palamidesse a illustrarci l’emblematica interpretazione locale del più diffuso vento nazionalista: il Sudan, la provocazione eritrea nel Tigray da anni sotto scacco, le tensioni interne all’Etiopia, il Somaliland e gli interessi sui porti dell’Oceano indiano.
Ma soprattutto gli Houthi, gruppo ribelle che rappresenta una nazione e che ha appena resistito ai sauditi, che ha colto nel segno bloccando lo stretto di Bab el Mandeb e costringendo gli europei a inviare navi da guerra nell’Oceano indiano a difendere merci e cavi. Esportazioni di problemi occidentali: il neocolonialismo è il risultato dell’esportazione tracotante di democrazia, che produce la scomposizione dei continenti in frammenti che diventano schegge che si ricompongono sotto altre influenze (Wagner, Cina, Turchia… Emirati) attraverso spaccature che passano attraverso conflitti locali e sacche di resistenza a macchia d’olio. Centrale di questo movimento è la decomposizione del Sudan, dove nuovi attori vanno a occupare gli spazi lasciati dalla deflagrazione e si appropriano delle macerie, laddove il distante impero non riesce e non vuole intervenire, perché il ritorno non pagherebbe lo sforzo.
Dal conflitto asimmetrico al rifiuto fallimentare della diplomazia
Nonostante il favorevole sistema di guerra che consente all’Occidente boom di vendite di armi, come sancito dal Sipri, la messa in crisi della supremazia occidentale produce vuoti di potere (dai risvolti imprevisti), come quello in Sahel da parte dell’anello debole francese, in cui si incuneano forze che fanno convergere l’intolleranza per il neocolonialismo sull’alternativa offerta da potenze altrettanto coloniali, dando libero sfogo a guerre che costituiscono una collana di innumerevoli mercati che assorbono e consumano armi, prodotte per lo più dall’odiata Babylon occidentale, e ciascuna perla di quella collana è una potenziale area di tensione che esplode localmente, ma essendo correlata globalmente divampa in una rete di adeguamenti al nuovo sistema mondiale immerso in un unico grande Sistema di Guerra in tutta la sua filiera fatta di mercati, affari, nazionalismi, eserciti, milizie, distruzioni, stragi, fame, genocidi soffocati per decenni. E ancora una volta sembra emblematico il costruendo porto di Khan Younis, appeso alla foglia di fico degli aiuti umanitari, s’inizia con gli affari legati alla sua costruzione, il suo prevedibile uso per la deportazione dei palestinesi residui, sgomberati dalla Striscia verso il Ruanda via Larnaca. Una soluzione che era nei piani di Netanyahu fin dalle mappe sbandierate poco prima del 7 ottobre come un drappo rosso di fronte al toro, per far giungere sul litorale di Gaza le merci che transiteranno dal corridoio saudita preconizzato in alternativa alla Bri cinese. Un capolavoro di infamia geopolitica, che s’illude di rispondere al declino dell’Impero americano.
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Author | OGzero - Orizzonti geopolitici |
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