Sono in auto sulla A7, di rientro dalla pausa estiva. È mattina presto e abbiamo deciso di viaggiare in un giorno feriale, due fattori che ci permettono di godere di un traffico non particolarmente intenso. La nostra Fiesta Blu procede decisa, non fosse altro che per i camion che, a decine, occupano la seconda e terza corsia, rallentando a tratti la nostra corsa verso casa. Enormi convogli composti da due e più rimorchi che trasportano merci come pietre e la terra, legname, cereali, minerali, acciaio, marmo, carta e cartone, cemento, calce, piastrelle e ceramica. Li controllo attentamente e su nessuno dei tir mi sembra di notare donne alla guida, il che mi fa pensare che il cliché dell’uomo-camionista sia ancora perfettamente rispettato. Mi vengono in mente, a questo proposito, due proverbi ancora molto trendy tra i miei conoscenti più boomer: il classicissimo “donna al volante, pericolo costante” – di cui mi è sempre stato chiaro il significato, contrariamente alle sue motivazioni – e il più insidioso “donne e motori, gioie e dolori”. Di questo secondo non ho mai capito fino in fondo se, come il primo, sottintenda una presunta incapacità delle donne alla guida, tanto che al volante sarebbero talmente inette da procurare a chi le guarda sia gioie (dal ridere) che dolori (quelli fisici, dopo gli incidenti che provocherebbero), o se faccia invece riferimento al fatto che le donne, come i motori, sono in grado di regalare agli uomini grandi soddisfazioni, ma anche grandi problemi.Nessuna delle due alternative riesce a rasserenarmi e decido di trovare pace con uno spuntino in autogrill.
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