6. Libro 1 - Capitolo 6

Apr 17, 2022 · 11m 2s
6. Libro 1 - Capitolo 6
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CAPITOLO 6 Si tratta dei due principali danni che gli appetiti causano nell’anima, uno privativo e l’altro positivo. 1. Per intendere più chiaramente e ampiamente quanto s’è detto, sarà bene...

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CAPITOLO 6

Si tratta dei due principali danni che gli appetiti causano nell’anima, uno privativo e l’altro positivo.

1. Per intendere più chiaramente e ampiamente quanto s’è detto, sarà bene ora soffermarci a dire come questi appetiti causano nell’anima due danni principali: il primo è che la privano dello spirito di Dio, e il secondo è che stancano, tormentano, oscurano, macchiano, infiacchiscono e feriscono l’anima in cui vivono, come dice Geremia nel capitolo secondo: Duo mala fecit populus meus: dereliquerunt fontem aquae vivae, et foderunt sibi cisternas dissipatas, quae continere non valent aquas; che significa: «Lasciarono me, che sono fonte d’acqua viva, e scavarono per proprio conto cisterne rotte, che non possono contenere acqua» (2, 13). Occorre sapere che questi due mali, privativo e positivo, sono causati da qualsiasi atto disordinato dell’appetito. E parlando in primo luogo di quello privativo, è chiaro che, per il fatto stesso che l’anima si affeziona ad una cosa che cade sotto il nome di creatura, quanto più grande è nell’anima quell’appetito, tanto minore capacità essa ha per Dio, in quanto due contrari non possono esser contenuti in uno stesso soggetto, come dicono i filosofi e come abbiamo detto nel quarto capitolo. E affezione di Dio e affezione di creatura sono contrari, e così affezione di creatura e affezione di Dio non sono contenuti in una stessa volontà. Infatti, che ha a che vedere la creatura con il Creatore, il sensuale con lo spirituale, il visibile con l’invisibile, il temporale con l’eterno, il cibo celestiale puramente spirituale ed il cibo del senso puramente sensuale, la nudità di Cristo con l’attaccamento a qualcosa?

2. Pertanto, così come nella generazione naturale non si può introdurre una forma senza prima togliere dal soggetto la precedente forma contraria, la quale, finché c’è, è d’impedimento all’altra per la contrarietà che esiste fra loro, così, finché l’anima s’assoggetta allo spirito sensuale, non vi può entrare lo spirito puramente spirituale. Perciò il nostro Salvatore disse in San Matteo: Non est bonum sumere panem filiorum et mittere canibus; cioè: «Non è cosa conveniente prendere il pane dei figli e darlo ai cani« (15, 26). E in altro luogo dice anche mediante lo stesso evangelista: Nolite sanctum dare canibus; che significa: «Non date ai cani ciò che è santo» (7, 6). In questi passi nostro Signore paragona ai figli di Dio coloro che, negando gli appetiti delle creature, si dispongono a ricevere puramente lo spirito di Dio; ed ai cani coloro che vogliono soddisfare i loro appetiti nelle creature; infatti ai figli è dato mangiare con il proprio Padre alla sua mensa e dal suo piatto, cioè pascersi del suo spirito, ed ai cani spettano le briciole che cadono dalla mensa.

3. Bisogna dunque sapere che tutte le creature sono briciole cadute dalla mensa di Dio. Pertanto giustamente è chiamato cane colui che va pascendosi delle creature e perciò gli si toglie il pane dei figli; poiché costoro non vogliono sollevarsi dalle briciole delle creature alla mensa dello spirito increato del loro Padre. E perciò giustamente vagano sempre affamati come cani, poiché le briciole servono piuttosto a stimolare l’appetito che a soddisfare la fame. Di costoro dice David: Famem patientur ut canes, et circuibunt civitatem. Si vero non fuerint saturati, et murmurabunt; cioè «Essi soffriranno la fame come cani e s’aggireranno nella città e non sentendosi sazi mormoreranno» (Sal. 58, 15-16). La caratteristica di chi ha appetiti è infatti d’esser sempre scontento e stizzoso come chi ha fame. Ma che ha a che vedere la fame causata da tutte le creature con la sazietà prodotta dallo spirito di Dio? Infatti questa sazietà increata non può entrare nell’anima se prima non si scaccia l’altra fame creata dell’appetito dell’anima; poiché, come abbiamo detto, in uno stesso soggetto non possono esserci due contrari, che in questo caso sono la fame e la sazietà.

4. Da quanto s’è detto si vedrà quanto più Dio faccia nel purificare e purgare un’anima da queste contrarietà che non nel crearla dal nulla. Infatti queste contrarietà di affetti ed appetiti opposti sono più opposti e resistenti a Dio del niente, poiché questo non fa resistenza. E questo basti intorno al primo danno principale che gli appetiti fanno all’anima, cioè il resistere allo spirito di Dio, in quanto già ne abbiamo parlato a lungo.

5. Diciamo ora del secondo effetto che provocano in essa, che è di molti tipi, poiché gli appetiti stancano l’anima e la tormentano e la oscurano e la macchiano e l’infiacchiscono. Di questi cinque aspetti tratteremo partitamente.

6. Quanto al primo, è chiaro che gli appetiti stancano e affaticano l’anima, poiché sono come figlioletti inquieti e di difficile contentatura, che vanno sempre chiedendo questo e quello alla madre senza mai accontentarsi. E come si stanca e si affatica colui che scava per cupidigia d’un tesoro, così si stanca e affatica l’anima per ottenere ciò che i suoi appetiti le chiedono. E se anche infine l’ottenga, si stanca, sempre, perché mai si soddisfa; infatti, in fondo, sono cisterne rotte quelle che scava, che non possono contenere acqua per saziare la sete (Ger. 2, 13). E così come dice Isaia: Lassus adhuc sitit, et anima eius vacua est (29, 8), che significa: il suo appetito è vuoto e l’anima che ha appetiti si stanca e s’affatica; poiché è come un malato febbricitante, che non sta bene finché non se ne va la febbre ed ogni minuto gli aumenta la sete. Infatti, come si dice nel libro di Giobbe: Cum satiatus fuerit, arctabitur aestuabit, et omnis dolor irruent super eum; che significa: Quando avrà soddisfatto il suo appetito resterà più oppresso e gravato; è cresciuto nella sua anima il calore dell’appetito e così cadrà su di lui ogni dolore (20, 22). L’anima si stanca e s’affatica con i suoi appetiti, poiché ne è ferita e agitata e turbata come l’acqua dai venti, e nello stesso modo la sconvolgono senza lasciarla quietare né in un luogo né in una cosa. E di quest’anima dice Isaia: Cor impii quasi mare fervens: «Il cuore dell’empio è come il mare quando ribolle» (57, 20; ed è empio colui che non vince gli appetiti. L’anima che vuole soddisfare i suoi appetiti si stanca ed affatica perché è come colui che, avendo fame, apre la bocca per saziarsi di vento e anziché saziarsi s’inaridisce di più, poiché non è quello il suo cibo. A questo proposito disse Geremia: In desiderio animae suae attraxit ventum amoris sui; intendendo: «Nell’appetito della sua volontà attrasse a sé il vento della sua afflizione» (2, 24). E subito dopo, per far capire l’aridità che resta in tale anima, dà questo avvertimento: Prohibe pedem tuum a nuditate, et guttur tuum a siti; che significa: «Allontana il tuo piede, cioè il tuo pensiero, dalla nudità e la tua gola dalla sete» (2, 25), vale a dire: distogli la tua volontà dall’appagamento dell’appetito che aumenta l’aridità. E come si stanca e affatica l’innamorato nel giorno della speranza quando vanno a vuoto i suoi slanci, così l’anima si stanca e affatica con tutti i suoi appetiti e i loro appagamenti, poiché tutti le causano un vuoto e una fame maggiori; infatti, come si dice comunemente, l’appetito è come il fuoco, che, gettandovi legna, cresce, e non può che smorzarsi non appena l’abbia consumata.

7. Però la condizione dell’appetito è ancor peggiore, in questo senso, che il fuoco, diminuendo la legna, decresce, mentre l’appetito, sebbene diminuisca la materia, non diminuisce rispetto al suo livello iniziale, anziché decrescere come fa il fuoco quando venga a mancargli l’alimento, e invece si consuma dalla fatica, poiché gli vien accresciuta la fame e diminuito il cibo. E di ciò parla Isaia dicendo: Declinabit ad dexteram, et esuriet; et comedet ad sinistram, et non saturabitur; che significa: «Si volterà verso la destra ed avrà fame; e mangerà verso la sinistra e non si sazierà» (9, 20). Infatti, coloro che non mortificano i propri appetiti, quando si voltano giustamente vedono la sazietà del dolce spirito di coloro che stanno alla destra di Dio, che loro non è concessa; e quando corrono verso la sinistra, cioè a soddisfare il loro appetito in qualche creatura, giustamente non si saziano; poiché, tralasciando ciò che solo può soddisfare, si pascono di ciò che causa loro una fame maggiore. È chiaro dunque che gli appetiti stancano ed affaticano l’anima.
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Author L'Oratorio di Exsurge
Organization Exsurge Christianitas!
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