4: L’aborto e il disastro di Seveso

Aug 1, 2022 · 20m 24s
4: L’aborto e il disastro di Seveso
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Nel 1976 in Italia l’interruzione di gravidanza non era ancora legale, ma viene eccezionalmente concesso l’aborto terapeutico nelle aree colpite dal disastro della diossina. Nonostante il rischio di malformazioni e...

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Nel 1976 in Italia l’interruzione di gravidanza non era ancora legale, ma viene eccezionalmente concesso l’aborto terapeutico nelle aree colpite dal disastro della diossina. Nonostante il rischio di malformazioni e di morte, le forze anti–abortiste continuano la loro battaglia contro il diritto di scegliere

Maria Chinni è una ragazza di 23 anni e da quando ne ha 18 è sposata con Canio Corbo, che ha un anno in più di lei. Entrambi sono originari del Sud: lei di Montebello Ionico, in provincia di Reggio Calabria, lui di Potenza. La coppia, con i figli Anna Maria di quattro anni e il piccolo Donato, che ne ha uno e mezzo, sono di ritorno da una vacanza: Anna Maria e Donato sono andati a trovare i nonni.

La coppia ha tanti progetti per il futuro: Maria è incinta da poche settimane, e lavora in una ditta di Lissone, Canio ha avuto qualche problemino di salute, ma si riprenderà in fretta e sarà più partecipe nell’aiutare la famiglia.  Nel settembre 1976, dopo la vacanza di dieci giorni in Calabria, entrambi tornano in Brianza, in un paese confinante con Desio: Muggiò. Maria attacca subito al lavoro, ma mentre si trova in fabbrica inizia a non sentirsi bene.

Sente una fitta lancinante al ventre e il giorno dopo, giovedì 2 settembre, decide di stare a casa. Canio inizia a preoccuparsi quando anche nella notte Maria è presa dai dolori. Canio e Maria volano al pronto soccorso più vicino, quello dell’ospedale di Desio, nel pomeriggio di venerdì. Maria sembra stare molto male, Canio è sempre più agitato. 

Passa qualche ora e davanti al marito compare il dottore: gli dice che Maria è scomparsa, insieme al bambino che portava dentro di sé. Questa tragica morte diventa in breve tempo benzina versata su un fuoco che è già acceso da tempo. Dopo qualche giorno si diffonde la voce che Maria sia morta per colpa di un aborto clandestino. 

Il direttore dell’ospedale di Desio precisa che dall’autopsia non risulta alcun danno al feto, prova che la donna non ha tentato l’interruzione di gravidanza. Lo conferma anche il prof. Lorenzo Alfieri, l’aiuto ostetrico ginecologico dell’ospedale. Rimane il fatto che la causa di morte non è del tutto chiarita: si parla in modo imprecisato di un’infezione senza specificarne la causa. La notizia finisce sulla stampa proprio nei giorni in cui a Desio si è deciso per “ammettere con riserva” le gestanti che fanno richiesta di abortire. 

L’8 settembre, a Milano si tiene una riunione di vari collettivi femministi per decidere come reagire alla morte di Maria Chinni. Sono presenti anche i gruppi di Desio e Cesano Maderno, zone colpite dalla diossina. Nell’articolo di Lotta Continua, uscito il giorno successivo, si fa cenno a quella riunione e poi, nell’articolo dedicato alla vicenda, si definisce Alfieri “uno degli aguzzini dell’ospedale di Desio”.

Perché questo attacco ai medici dell’ospedale? Come mai l’argomento è l’aborto, se siamo nel 1976 e il referendum che lo liberalizzerà verrà votato solo nel ’78? E, soprattutto, cosa c’entra tutto questo con la diossina? Quando Maria Chinni muore, questo tema occupa già pagine su tutti i giornali, e divide, ancora una volta la popolazione della Brianza e dell’Italia intera. Per capirne il motivo bisogna tornare indietro di qualche settimana, al 29 luglio.

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